Circa dieci ore di attesa. Con questa prospettiva fare un salto nell'unica edicola a portata di mano è inevitabile. Il piccolo chiosco, tra riviste e giornali, purtroppo ha solo due libri da propormi. Uno è un'avventura di guerra, ambientata in Iraq. L'altro è un giallo norvegese. Leggo e rileggo le quarte di copertina. A quanto pare sono entrambi dei capolavori! Quale scegliere? Tentenno a lungo. Ma qualcosa devo leggere, non posso mica morire di pizzichi, come si dice a Roma. Mi butto: o la va o la spacca. La dea Cieca di Anne Holt. Ma era il libro sbagliato.
Dunque, c'è un'avvocatessa un po' schizzinosa: Karen Borg, un poliziotto un po' chiacchierone: Hakon Sand, e una poliziotta lesbica (ma i colleghi non devono saperlo) che a volte sentenzia in inglese: Hanne Wilhelmsen. Questi e altri personaggi vengono sempre invariabilmente nominati con nome e cognome, per tutto il romanzo, a volte anche dieci volte per pagina. Insomma, l'ho capito che Hanne si chiama Wilhelmsen, non è che ogni tanto la puoi chiamare semplicemente "Hanne", oppure "lei"? Neanche da una riga all'altra? Ci sono almeno cinquanta pagine di soli cognomi inutili, insomma. Chissà se si tratta di un vezzo della scrittrice oppure di una caratteristica tipica della lingua originale. Tornando al giallo, abbiamo una sordida storia a base di commercio di droga, avvocati corrotti, su su fino ai soliti insospettabili. Ragazzi che noia! Sembra un romanzo scritto in una segreteria amministrativa. I personaggi sono introdotti da barbosissimi curricula e la vicenda si snocciola lentamente e faticosamente. Mi sono informato: Anne Holt, ex avvocatessa e ministra, è una scrittrice famosa, ma La dea cieca (che poi sarebbe la giustizia) è il suo romanzo d'esordio, che darà origine a una serie che ha per protagonista Hanne Wilhelmsen, ma non è considerato uno dei migliori. Non faccio fatica a crederlo. Complice, forse, anche un po' di sfortuna, il mio rapporto coi gialli scandinavi resta problematico.
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