Con la partecipazione della più celebre coppia di Hollywood in veste di mascotte.

sabato 24 dicembre 2011

La seconda secca

Riuscirà Giampa a sopravvivere a una terrificante settimana al mare a Torvaianica in compagnia dei suoi palestrati fratellastri Manuel e Ramon?

Questo racconto è stato sucessivamente inglobato nel mio romanzo Erba Alta.

                           Gianluca Gemelli
La seconda secca

Quell’estate, dopo che per tutto luglio Giampa si era fatto due palle così dalla nonna al paese, la mamma e Attilio passarono a Basigliano a prenderlo per portarlo al mare.
Una settimana a Torvaianica, nella casa al mare di Attilio, con Manuel e Ramon, magari non era proprio il sogno di Giampa, ma almeno quando a settembre i suoi compagni di classe gli avrebbero chiesto: “sei stato al mare?” lui avrebbe potuto rispondere: “sì”, come tutti gli altri.

I due figli di Attilio e della prima moglie erano simpatici, ma troppo grandi. E poi erano muscolosi e alti come due pivot del basket. Impossibile entrarci in sintonia. Però, quando gli fecero: “Andiamo alla secca, quella che sta al largo”, lui come al solito disse: – Ok.

Che avrebbe dovuto fare? Tirarsi indietro e fare la solita figura del bamboccio? No, doveva adeguarsi, ad ogni costo.

Erano in tutto una decina: sette-otto maschi e tre femmine. Giampa fino al giorno prima non conosceva nessuno. Manuel e Ramon, invece, erano evidentemente i leader del gruppo. I due vivevano con la madre, ma passavano sempre l’estate col padre. Erano lì già da un mese ad abbronzarsi e a sfoggiare l’addome tartarughizzato.
La più piccola delle tre ragazze del gruppo si chiamava Michela. Giampa l’aveva notata subito anche se era un po’ timida, anzi, proprio per quello. Aveva un viso dolce, e a lui piaceva, anche se era un po’ più cicciottella delle sue amiche. Inoltre Michela non era già tutta abbronzata, stile cioccolata, come tutti gli altri, e questo faceva sì che Giampa, che naturalmente era una mozzarella ambulante, la sentisse in qualche modo vicina. Lui, però, gli sembrava di avere un qualche tipo di marchio, tatuato su quel colore lattiginoso, qualcosa come le scritte pubblicitarie sulle magliette, solo che la sua di scritta era sulla pelle, e diceva: “Un mese a Basigliano”.
– Ok, ragazzi, voi andate, che noi vi guardiamo da qua.
Le tre ragazzine si sedettero sulla spiaggia. In quel momento Giampa si rese conto che quella che gli avevano proposto, o meglio imposto, era una gara.

Una gara di nuoto!

– Ma dov’è questa cavolo di secca?
– Laggiù. Lo vedi dove passa quella barca?
Manuel indicò una vela lontana. Troppo lontana.
– In pratica sta passando in mezzo fra le due secche. Quella prima è più profonda, si tocca a malapena. Quella dopo è la nostra. Lì si tocca proprio. Si esce proprio dall’acqua.
– Ah, va beh.
A Giampa sembrava un’impresa sovrumana. Lui sapeva nuotare abbastanza bene... Abbastanza bene? Così e così. Insomma, a dirla tutta in piscina non aveva mai fatto più di due vasche di seguito, totale: cinquanta metri. Al massimo, ma proprio al massimo, tre vasche. I cento metri non facevano per lui: dopo la terza vasca scoppiava. Ma qui quant’era? Centinaia di metri!
Le ragazze intanto si erano sistemate sui loro asciugamani colorati e si preparavano a dare il via.
Affogherò. Pensò Giampa.
L’insenatura era perfetta, da cartolina di spiaggia tropicale. Non fosse stato per quel colore giallo dell’acqua, quelle schifose mosche morte galleggianti – probabilmente da quelle parti avevano da poco fatto una disinfestazione – e per quell’assorbente con le ali che andava avanti e indietro, naturalmente. Nell’odore del mare Giampa distingueva anche una poco rassicurante sfumatura di fogna, con una punta di gatto morto. Ma al largo l’acqua è sempre più pulita, si sa.
Sì. Affogherò. Ne era sicuro, quasi. Ma che doveva fare? Nuotare. Nuotare oppure ammettere di essere il bamboccio della situazione. Cosa che sotto sotto temeva comunque di essere. E Michela? Lo avrebbe notato se fosse affogato? E se fosse sopravvissuto?
– Via! – gridarono in coro le tre ragazze, e tutti partirono di corsa verso l’acqua.
Si toccava per diversi metri, per cui era tutto un delirio di schizzi, mentre i ragazzi correvano tra le onde.
Speriamo che sia sempre così! pensò Giampa, confidando in un improbabile miracolo stile Lago di Tiberiade, prima di iniziare ad affondare e di vedere gli altri tuffarsi uno alla volta e mettersi a nuotare.
Giampa si tuffò anche lui ed iniziò a dosare le bracciate. Subito gli sembrò che la situazione non fosse poi tanto nera: alcuni dei suoi avversari erano già lontani davanti a lui, ma altri in acqua non erano proprio dei superman, a quanto pareva. Infatti c’era anche chi nuotava schizzando ovunque e agitando la testa a destra e sinistra. Giampa sapeva di avere uno stile molto migliore. Merito dello Sporting Club di pochi anni prima, quando il papà e la mamma vivevano ancora insieme. All’epoca la mamma lo accompagnava in macchina al corso di nuoto due pomeriggi la settimana. Peccato aver dovuto smettere.
Giampa si impegnava, ma non riusciva ancora a distanziare quei due fresconi tutti schizzi. Poi, piano piano, cominciò ad avanzare. Ma le sue braccia stavano già diventando di piombo. E la respirazione laterale era sempre più faticosa.
Non ce la faccio più. Non ce la faccio più. Ma continuava a nuotare. Quando davvero non ne poté più si fermò, e proseguì a rana. Allora si accorse che anche alcuni dei suoi avversari più vicini stavano facendo lo stesso. Addirittura, qualcuno si era fermato molto più indietro di lui. Un paio avevano già rinunciato e stavano tornando a riva. Questa scoperta lo incoraggiò.
Ce la faccio. Ce la faccio. Dai che ce la faccio. Ma ormai a stile non durava più di due bracciate e doveva sempre inframezzare a rana. Andare avanti andava avanti, ma era esausto.
La prima secca fu provvidenziale. Non era vero che si toccava appena, si toccava bene. E meno male, Giampa aveva il cuore nelle orecchie e respirava con la lingua di fuori. Però il traguardo adesso era vicino. Vedeva Manuel, a quanto sembrava era lui il vincitore, fermo a poche decine di metri, con l’acqua all’altezza dello stomaco. E quindi... Via ancora!
A metà tra le due secche, quando vide con la coda dell’occhio Manuel incrociarlo con le sue ampie bracciate, il mondo gli crollò addosso.
Oh cazzo! Andata e ritorno! È andata e ritorno! Questa scoperta fu per lui catastrofica. Non era ancora arrivato a quello che pensava essere il traguardo, era completamente esausto, e ora scopriva che era solo a metà! Voleva piangere.
Quando, in qualche modo, riuscì a toccare di nuovo, gli girava la testa. Dalla secca però vedeva sì Manuel e Ramon ad un passo dalla spiaggia, impegnati nello sprint finale, ma anche tutti gli altri concorrenti ormai definitivamente arresi. Loro non ci erano arrivati alla seconda secca: stavano tutti rientrando piano, a rana.
Questo significava che ce l’aveva fatta! Gli bastava tornare a riva piano a rana pure lui, e il terzo posto era assicurato. Terzo! Un gran bel risultato.
Tornare a riva? Ma lui non si reggeva in piedi, lì sulla secca. Nuotare ancora? E chi ce la faceva? Non c’era una barchetta di passaggio, per caso? No.
Nuotare, allora. Doveva nuotare. Mica poteva restare lì. E poi, più restava lì in mezzo al mare, più gli altri si sarebbero scordati che stava facendo una gara. Avrebbero pensato che si fosse ritirato pure lui. E Michela? Lo stava ancora guardando?
Giampa ripartì, per un viaggio di ritorno che fu peggio dell’Odissea di Ulisse. Quella di Giampa fu un’odissea in tutti i reami della fatica fisica. Finché finalmente non toccò terra. Gli altri aspettavano solo lui.
– Oh, finalmente!
Ma Giampa non poté sorridere, stava troppo male. Si trascinò a quattro zampe, e il latte coi biscotti, la colazione abbondante di un’ora e un quarto prima, colsero l’occasione. Vomitò praticamente ai piedi di Michela.
– Che schifo!
Manuel gli si avvicinò e gli sorresse la fronte durante l’operazione, gesto che Giampa non capiva che utilità avesse, e lo avrebbe volentieri rifiutato, ma non ne aveva la forza.
Quando, piano piano, gli parve di riprendersi, dovette accorgersi che tutti pensavano che lui fosse arrivato ultimo.
Giampa provò a sostenere di essere in effetti arrivato terzo, ma la sua faccia stravolta non lo aiutava di certo a rendere credibile la sua interpretazione della gara.

Passò i giorni seguenti a contare le scanalature delle conchiglie. Ventidue. Sempre ventidue. Forse aveva scoperto una legge naturale. Ce n’era qualcuna, tra le più piccole, in cui invece se ne contavano venti, ma Giampa aveva il sospetto che fosse solo perché le due scanalature più piccole, quelle laterali, erano appena accennate, a causa delle dimensioni.
L’ultimo giorno ne trovò una con ventitré scanalature. Conta e riconta erano proprio ventitré. Non stette a chiedersi quale potesse essere la spiegazione. Scagliò la conchiglia lontano, nel mare.

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