E ora ecco un nuovo racconto, in regalo per voi! Sì, si tratta di un racconto di Natale... ma in senso deteriore, dato che parla solo di spese natalizie e di giocattoli! Riuscirà Alberto a risolvere il mistero del giocattolo scomparso... e a rimorchiare la bella cliente? Lo scoprirete se continuerete a leggere. Buon divertimento e buone feste a tutti!
Gianluca Gemelli
PLAYSET
− Pronto? Alberto? Non so se ti ricordi
di me, ma...
− Chiara! Ma certo che mi ricordo di te!
− chiocciò lui al telefono.
Il giorno prima, senza farsi molte
illusioni, aveva attaccato bottone con la bella cliente, e a lei a quanto
pareva, la cosa non era dispiaciuta. Mentre si faceva spiegare le
caratteristiche dei vari giocattoli ispirati alle serie animate, in cerca del
giusto regalo natalizio per suo figlio, la donna aveva finito per raccontare all’aitante
commesso di Supertoys la sua vita...
o almeno un breve sunto. Era separata dal marito, e il figlio, il piccolo
Luigi, otto anni, viveva col padre.
Alberto era molto interessato. La donna
era giovane, elegante e sexy. Il fatto poi che avesse già un matrimonio alle
spalle, con tanto di figlio, che però non viveva con lei, gliela rendeva ancor più
desiderabile. Magari, fantasticava, poteva andarle di divertirsi un po’ con un
ragazzo come lui, atletico e dal fascino latino, anche se più giovane di lei. A
occhio calcolava una decina d’anni di differenza, e la cosa lo
stuzzicava, anziché scoraggiarlo. E poi Chiara era un vero schianto. Forse anche
lei aveva voglia di farsi una bella scopata... Sì, ma senza un vero impegno,
dato che aveva già tutti quei suoi guai famigliari. Insomma Alberto sperava di
aver trovato la situazione ideale per uno come lui: giovane, bello e arrapato,
ma senza una lira da parte.
− Mi ricordo benissimo: il regalo per
Luigi.
− Ah, bene. Ieri pomeriggio, poi, io non
ho comprato niente, ma tu sei stato così gentile...
− Figurati, è stato un piacere! Sei una
persona così... interessante...
Che cavolo sto dicendo? Pensò Alberto.
Interessante? Perché non mi è venuto in mente qualcosa di meglio?
Ma lei sembrava contenta del complimento.
Ridacchiò.
− Eh, eh... Grazie. Anche tu sei molto
interessante. Ehm... Comunque ti volevo chiedere: siete aperti oggi pomeriggio?
− Certo, è quasi Natale! Siamo
aperti fino alle 20, come tutti i negozi del centro commerciale. C’è un sacco
di gente anche adesso.
− Eh, sì, lo so: ci hanno messo un bel po’ di tempo prima di passarmi te al telefono.
− Scusami, ero alla cassa. Alle volte
siamo in tre: magari ci fosse sempre questo pienone!
− Eh, già: sono tutti dei ritardatari
come me!
− Eh, ma non è mica colpa vostra: è il
lavoro. Corrono tutti dalla mattina alla sera e non hanno mai tempo.
− Quant’è vero! Io sto telefonando
dall’ufficio. Ecco, è per questo che ti ho chiamato: ho deciso qual è il regalo
giusto per Luigi. Ieri sera gli ho telefonato e mi sono fatta ridire qual era
quel cartone animato.
Chiara non vedeva il figlio tanto
spesso, e il giorno prima, non ricordando il nome del cartone animato preferito,
aveva sperato che, se le si mostravano i giocattoli corrispondenti ai personaggi
più in voga, se lo sarebbe ricordato. Così Alberto le aveva mostrato tutto
l’armamentario, dai Transductors ai Byonizzle. Niente da fare: lei non se
l’era ricordato.
− È Spacedogs.
− Ah, Spacedogs. Bene.
− Mi avevi fatto vedere quella confezione
con i pupazzetti...
− Sì: il Playset di Spacedogs Adventures. Vedo se c’è ancora...
− Speriamo di sì, sennò sono fregata!
− Eccolo, è lassù. Lo vedo. Ce n’è
rimasto uno, per fortuna.
− Evvài! Me lo metti da parte, per
favore, che passo a prenderlo stasera dopo l’ufficio?
− Certo! Prendo lo sgabello e te lo
metto via.
− Che bello, grazie! Arrivo verso le
sei, va bene?
− Certo che va bene. Mi trovi qui. Anzi,
ti volevo chiedere una cosa...
Alberto si spostò verso l’ingresso del
negozio e si mise dietro la vetrina per stare un po’ appartato.
− Senti, mi chiedevo se poi devi
scappare o se invece hai un po’ di tempo. Magari... se hai del tempo... ti volevo
offrire un caffè...
− Perché no? Sì, certo, mi farebbe
piacere. Dopo non ho nient’altro da fare. A parte andare a casa mia a cambiarmi
e a prepararmi la cena.
È fatta, esultò Alberto. Magari riesco
pure a portarla fuori a cena.
− Bene! Allora ti aspetto.
− Grazie! Non ti dimenticare di mettermi
da parte Spacedogs.
− Non ti preoccupare, lo prendo subito.
− Allora a dopo! Ciao!
− A dopo, ciao!
Alberto chiuse la comunicazione
sorridendo. Si mette proprio bene, pensò. Se non fa troppo la sofisticata
riesco a portarla a cena da Fernando, proprio qui, dentro il centro
commerciale. Può funzionare: lei sarà appena uscita dal lavoro, non sarà mica
acchittata come una che si prepara per andare a cena fuori, anche la
rosticceria potrebbe starle bene. Così facciamo in fretta... E io risparmio.
Alberto prese lo sgabello e si avviò
verso le scaffalature centrali, continuando a fantasticare.
E poi? Sul bancone della rosticceria ci
guardiamo negli occhi... E poi, da cosa nasce cosa. Lei vive da sola... quindi
casomai butta davvero bene si va a casa sua: da me è improponibile, c'è troppo macello. Sì, ma in caso,
come faccio per la macchina? Non posso mica portarla in giro sulla Panda
scassata. Che faccio? Telefono a mio fratello e gli chiedo se anche stasera mi
può prestare la C4? No, no. Gliel’ho chiesta un po’ troppo, ultimamente. E
stavolta non ne vale la pena: lei sicuramente avrà la sua macchina, e se
usciamo insieme non può mica lasciarla qui nel parcheggio. Per cui, se andiamo da lei,
ci andremo con la sua macchina.
Nel frattempo aveva sistemato lo
sgabello sotto allo scaffale dove poco prima aveva visto l’ultimo Playset
superstite di Spacedogs Adventures. Ci
salì sopra e... Niente. Ho sbagliato scaffale? Si chiese. Si guardò in giro. Ci
pensò su. No, non c’è dubbio, è questo qui. Ma dov’è finito, allora? Che mi sia sbagliato? Eppure l'ho visto... Sì, sono sicuro che poco fa c’era, ed era proprio quassù!
− Che fine ha fatto il Playset di Spacedogs Adventures? − disse ad alta
voce. Due bambini con delle scatole di Lego
Astrocat in mano si guardarono con aria interrogativa.
− Che fine ha fatto il Playset di Spacedogs Adventures? − gridò quasi
Alberto, mentre con lunghi passi si avvicinava alla cassa, guardandosi in giro.
Ispezionò i clienti in fila. Niente. Quelli tra gli scaffali. Niente.
− Guido, sai dov’è finito il Playset di Spacedog Adventures?
− Il che? − rispose distrattamente il
collega, indifferente all’ansia di Alberto. Era a terra in ginocchio, ed era al
lavoro con la prezzatrice.
− Quel coso che era lassù!
− Che ne so, io? − fece Guido. − Se è un
prodotto che stai cercando, chiedi alle ragazze alla cassa.
Alberto tornò alla cassa e passò
nuovamente ai raggi X i clienti in fila.
− Ma dov’è finito? Eppure...
− Alberto? − disse la donna alla cassa,
stupita. − Ma che stai cercando?
− Marina, hai visto chi ha preso il
Playset di Spacedog Adventures?
− Il che?
− Quello con tutti cagnolini vestiti da
astronauti!
− E io che ne so? Io passo le cose e
prendo i soldi. Sto qui dalle otto del mattino e non ho ancora pranzato. Non mi
pare di aver visto cagnolini, ma magari mi sbaglio. Chiedi a Elena, è lei che
sta facendo i pacchetti, forse lei le cose le nota meglio, dato che le gira e
le rigira con le mani!
Alberto alzò lo sguardo verso la ragazza
che confezionava i pacchetti regalo. Anzi, sperò, forse è proprio dentro uno di
quei pacchetti! Per questo non lo vedo più, ma è ancora dentro il negozio!
Invece neanche Elena aveva visto il
Playset di Spacedog Adventures.
− No, no. Qui non c’è. E non mi pare che
ci sia passato, di qui. Forse chi lo ha comprato non se lo è fatto incartare.
− Ma com’è possibile, scusa? Due minuti
fa era lassù, io vado a prendere lo sgabello, torno qui e... Puff! Sparito! Chi
si è arrampicato a prenderlo, fin lassù, senza sgabello? E come fa a essere
già uscito dal negozio?
− Non mi dirai che l’hanno rubato? −
disse ancora Elena, continuando a incartare e confezionare il voluminoso
scatolone di Costruisci il tuo Castello
dei Magici Cavalieri.
− Mannò! Ha il chip! È un giocattolo
nuovo e anche abbastanza costoso. Se non passa per la cassa suona l’allarme.
− Se l’hanno davvero rubato, avranno
tolto il chip.
− No, no. Togliere il chip da quel tipo
di scatola è un’impresa. Ci vorrebbe un coltello. E poi io ero qui, dietro la
vetrina: se vedevo uno con una scatola aperta in mano mica lo lasciavo uscire
tranquillamente dal negozio, no? E tu? E Marina?
− No, no. Di qui non è uscito nessuno
con una scatola aperta in mano.
− Ecco. Però non c’è più. Come lo
spieghi?
− Io? E che ne so? Ma hai guardato bene?
Sei sicuro che non c’è?
− Sicurissimo!
− E sei sicuro di aver guardato bene
prima? Sei sicuro che prima c’era? Magari ti sei sbagliato.
− No, no, sono sicuro. Lo avevo preso in
mano anche ieri, e me lo ricordavo bene. C’era. Poco fa era lassù, nella fila
centrale.
Elena non disse niente. Terminò un
pacchetto e lo dette a una signora, che ringraziò e salutò.
− E io adesso, come cazzo faccio? − fece
ancora Alberto.
− Ma perché ti interessa tanto, quella
cosa? − gli chiese Elena.
− Perché l’ho promesso a una cliente che
viene qui oggi pomeriggio.
− E da quando in qua te la prendi tanto
per una cliente?
− Gliel’ho promesso, te l’ho detto...
− Seh, vabbé...
Alberto si morse il labbro e si guardò
per l’ennesima volta in giro.
− Comunque, forse l’avrà preso quella
signora incinta, − riprese Elena, dopo aver completato un altro pacco.
− Eh? Quale signora incinta?
− C’era una signora incinta. Con un
cappotto rosso.
Alberto annuì. L’aveva notata anche lui,
prima ancora di ricevere la telefonata di Chiara.
− Marina non le avrà mica fatto fare la
fila, no?
− È vero! Non ha fatto la fila! Elena,
sei un genio!
− Tsé!
− Marina, Marina! Cos’ha comprato la
donna incinta? Quella col cappotto rosso?
− E io che ne so? Mi pare... Boh! Ma a
te che te ne importa? Che vuoi da me? Quand’è invece che vieni a darmi il
cambio qui in cassa? Che dopo quella telefonata sei sparito?
− Mezz’ora, − scandì Alberto, dandosi
quel tempo per girare di corsa per tutto il centro commerciale alla ricerca
della signora col pancione e col cappotto rosso. − Dammi solo un’altra mezz’ora
e poi ti mando a pranzo e ci sto io qui.
− Ma...
Marina non poté replicare: l’altro si era
già precipitato fuori dal negozio.
Alberto corse alla balconata e guardò
giù. Cercava un cappotto rosso tra la gente in un centro commerciale, a Natale.
Vide invece un certo numero di adesivi a forma di Babbo Natale attaccati alle
vetrine, più i due orribili Babbi Natale meccanici: ce n'era uno per piano. Altro rosso, per
il momento, non ne vedeva. Nessuna traccia della signora col pancione, né
giù, né a destra né a sinistra. Ok, pensò. Devo darmi da fare. Si organizzò
mentalmente un percorso per tutto il centro commerciale.
Che speranza ho di ritrovarla? Poca,
molto poca. Ci vuole fortuna. Magari quella se n’è già tornata a casa. Ma ci
devo provare! Chiara sarà qui oggi pomeriggio! Forza, andiamo!
Fece lo slalom di corsa lungo i
corridoi, tra le signore con buste piene di pacchi, bambini che piangono, e
cani col cappottino. Fece capolino nei negozi affollati. Urtò contro un signore allampanato addobbato di buste e bustine come un albero di Natale, facendolo quasi cadere. Si scusò, riprese a correre e continuò a
guardarsi intorno.
Finalmente, tra le corna di una enorme
renna di peluche, in piedi in mezzo al diorama con la slitta di Babbo Natale
piena di regali, gli parve di scorgere una signora col cappotto rosso. Sì! Era proprio lei! Aveva il pancione!
La signora Marianna, mentre usciva da un
negozio di abbigliamento per bambini e neonati, si trovò di fronte un tizio
sudato e affannato con il maglione giallo e il logo di Supertoys.
− Signora... Per fortuna l’ho trovata...
Scusi il fiatone... Signora... Sono di Supertoys...
C’è stato un errore... Devo ritirare il giocattolo che ha comprato... La
rimborso in contanti subito, io, adesso...
− Ma cosa vuole? Ma chi è, lei?
Tra le buste che la signora aveva in mano
ce n’era una di Supertoys, e la forma
e dimensione sembravano proprio coincidere con quelle del Playset di Superdog Adventures.
− Signora, sono il commesso di Supertoys... Lei ha comprato un
giocattolo da noi, poco fa... Ma c’è stato un errore... Lo devo ritirare...
− Ma non ci penso nemmeno!
− Il giocattolo che ha acquistato le è
stato venduto per errore... Mi spiace, signora, ma le sono corso appresso
proprio per rimediare a questo errore... Sono dieci minuti che la sto
cercando... Me lo deve restituire!
− Ma cosa dice? È il regalo per mio
nipote, e non è stato mica facile trovarlo!
Alberto alzò lo sguardo al cielo. Ai
mali estremi, estremi rimedi, pensò.
− C’è un problema di vernici tossiche! In
realtà si tratta di un prodotto fortemente dannoso per la salute! La prego, me
lo ridia indietro: se lo apre, io finisco nei guai, ma lei... − Alberto guardò
tristemente il pancione della signora.
− Oh, mio Dio, ma allora...
Alberto continuò a scusarsi, la signora
gli mostrò uno scontrino da 48 euro e 99 e lui scucì 50 euro in contanti. Si
prese la busta gialla con la scritta Supertoys
e si allontanò.
Incredibile! Non credevo di farcela,
pensò. E invece... Me la sono proprio cavata bene!
Poi, sulla scala mobile, guardò dentro
alla busta gialla. La confezione era leggermente più grande e pesante di come
se la ricordava. La sfilò e lesse: Playset
degli Allegri Pompieri.
Elena abbassò lo sguardo sotto il banco.
Tra i suoi piedi c’era la scatola che aveva messo da parte per suo figlio
Matteo, anche lui fan di Spacedogs
Adventures. Per terra, il gancio con cui l’aveva prelevata poco prima dallo
scaffale in alto della fila centrale.
− Scusi un attimo, signora. Un secondo
soltanto: torno subito a fare il suo pacchetto.
Era il momento ideale, ora che Alberto
era in giro per il centro commerciale, per aprire la cassa n. 2, pagare il
giocattolo e fare un bel pacchetto per Matteo.
No, a quell’antipatico di Alberto, lui
che si sentiva una specie di Antonio Banderas e che stava sempre a far lo scemo
con le clienti, non l’avrebbe dato mai.
Noi donne siamo sempre tremende!
RispondiEliminascritto molto bene con finale originale ...OK....
RispondiEliminaOgni volta che mi capita di leggere qualcosa di suo rimango sbalordita da quanto mi sorprenda, ovviamente in senso positivo. Non so se sto cercando di vederci qualcosa che non c'é ma diventa sempre più enigmatico e interessante tutto ciò che scrive .
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