Quante volte sulle fascette dei thriller nordici ho letto frasi del tipo: è arrivato il nuovo Jo Nesbø? Tante, e sarà capitato anche a voi. E dato che io quello vecchio, di Jo Nesbø, non lo conoscevo, alla fine mi è venuta voglia di colmare questa lacuna. Ho potuto farlo grazie alla libreria ben fornita di una mia amica: lì ho preso in prestito, tra l'altro, La stella del diavolo, libro di una quindicina di anni fa, considerato dai fan uno dei lavori migliori del maestro norvegese del thriller. Bene, ora l'ho letto, la lacuna l'ho colmata, e non è che mi sia venuta molta voglia di leggere altro dello stesso autore: almeno per quanto riguarda il suo famoso ciclo sul commissario Harry Hole, ho chiuso con Jo Nesbø. Eppure questo libro una scossa me l'ha data: una scossa ai pregiudizi sulla Norvegia e sui norvegesi.
Dunque, ci sono un detective malinconico e alcolizzato, dalla famiglia in via di disfacimento, una metropoli tentacolare, quartieri malfamati, poliziotti buoni e poliziotti corrotti, malavitosi, assassini, serial killer...
Un detective malinconico e alcolizzato, una metropoli tentacolare, quartieri malfamati... |
Come, cosa c'è di strano? C'è che non siamo a Los Angeles, siamo a Oslo! Come ve lo aspettate voi, un poliziotto norvegese, sapendo che raramente usano le armi e che il 30% sono donne? E una città norvegese, come ve la raffigurate, sapendo che la Norvegia ha in tutto poco più di 5 milioni di abitanti, un'organizzazione proverbiale, una ricchezza pro capite tra le più elevate, e un tasso di criminalità tra i più bassi del mondo?
Oslo! Chi non vorrebbe esser arrestato da una poliziotta così? Ed ecco uno scorcio del porto. |
A rendere il tutto ancora più incredibile è che il romanzo è ambientato in una torrida estate: tutti i personaggi soffrono il caldo e sudano in continuazione. Chissà, forse fanno 25 gradi... Una notte il commissario Hole deve addirittura togliere il piumone e dormire solo col lenzuolo.
Vabbè, è chiaro che Jo Nesbø ha esagerato un po', e lo ha fatto per richiamare l'atmosfera dei thriller americani. Ma magari è anche la mia idea preconcetta della Scandinavia che è sbagliata. D'altro canto all'estero cosa pensano di noi italiani? Per loro noi non facciamo altro che mangiare pizza e spaghetti, mentre invece... Ehm... Er... Beh, non li mangiamo entrambi nello stesso pasto!
Comunque, per tornare a Jo Nesbø, ho trovato il suo stile piuttosto pesante e erratico. A volte, invece di dire semplicemente "telefonò alla polizia", imprevedibilmente parte con due pagine di racconto della storia familiare degli operai che hanno steso i cavi di quella linea telefonica. Oppure a un certo punto prende un personaggio secondario, apparentemente scelto a caso, e decide di raccontartene vita, morte e miracoli, mettendo così inutilmente la narrazione in pausa.
Il personaggio principale, Harry Hole, è insopportabile: un vero coacervo di cliché da hard-boiled (oggi si dice così, chissà perché: non si dice più poliziesco o noir). Alcolizzato, inaffidabile, indolente, odiato da una moglie che ama, è a un passo dal suicidio o dalla morte per inedia. Poi però ovviamente all'improvviso smette (momentaneamente) di bere, risolve misteri a tutto gas, salva capra e cavoli in azioni rocambolesche, e si riconcilia (forse) con la moglie. La sua nemesi, non il serial killer ma il poliziotto corrotto, si comporta in maniera contraddittoria per tutto il libro, evitando con cura di fregare Hole tutte le volte che avrebbe potuto farlo facilmente, e alla fine invece si lascia fregare da lui come un babbeo. Il serial killer? Ma tanto i killer psicopatici sono matti per definizione, quindi perché stupirsi di quel che fa? Personaggi? In una parola: pessimi, punto e basta.
Un thriller su un serial killer è sempre un thriller su un serial killer, e quindi, nonostante tutto si lascia leggere. Agli appassionati piace sempre. Ma non venite a dirmi che è un capolavoro.
Mi è piaciuta la sintesi=i killer psicopatici sono pessimi,punto e basta...OK...
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