
Strani, i grandi: le loro teste vivevano
in quel mondo sopraelevato, a pochi centimetri dal soffitto, e quando parlavano
tra loro potevano guardarsi senza abbassare né alzare lo sguardo. Come vedevano
il mondo da lassù? Mi sembrava una cosa strana che dovessero abbassare
lo sguardo, per vedere noi bambini, il pavimento, il gatto... Strano, eppure
doveva essere così!
Quando diventerò grande, sarò anch’io così alto? Dovrò anch’io guardare tutto da su in giù, anziché da giù in su? Stranissimo, pensavo, eppure anche in questo caso dovrà essere così. Ma ci vorrà tantissimo tempo, prima di arrivare fino al soffitto.
Quando diventerò grande, sarò anch’io così alto? Dovrò anch’io guardare tutto da su in giù, anziché da giù in su? Stranissimo, pensavo, eppure anche in questo caso dovrà essere così. Ma ci vorrà tantissimo tempo, prima di arrivare fino al soffitto.
A casa dei miei nonni materni c’era un
soggiorno occupato quasi per intero da un lungo tavolo di legno, teatro di allegre
riunioni di famiglia quali: mangiate di polenta − secondo la tradizione del
paese dei miei nonni, veniva stesa su una spianata di legno e mangiata in modo
promiscuo − e poi cene di Natale, pranzi di Capodanno, partite a tombola e a
sette e mezzo... Poiché ero molto più basso del tavolo, quando me ne andavo in
giro per la sala ne vedevo sempre la parte inferiore. Né io né il gatto
potevamo sapere cosa c’era sulla tavola, se non arrampicandoci su una delle
enormi sedie.
Allora decisi che quando i miei occhi
sarebbero arrivati all’altezza del tavolo, quando avrei potuto finalmente
scorgere la parte superiore, allora, in quel preciso momento, avrei saputo che
ero diventato grande anch’io. Mi sembrava che potesse essere una tappa
importante: non potevo mica aspettare di arrivare fino al soffitto. Per un po’
m’impegnai, mese dopo mese, a verificare la mia situazione rispetto al tavolo
della sala da pranzo dei nonni. Ma poi mi dimenticai di quel pensiero, e
quando, molto tempo dopo, mi ritornò in mente, ormai superavo il tavolo
nettamente, e ne vedevo la parte superiore, apparecchiata a festa, senza
difficoltà. Ero grande, ma mi ero perso il momento preciso in cui lo ero
diventato, quel momento in cui avevo raggiunto esattamente l’altezza del
tavolo. Che delusione: lo avevo postulato come spartiacque, ma lo avevo mancato.
Anni e anni dopo mi sono chiesto se non
sarà così anche per il momento in cui mi renderò conto di esser diventato
vecchio. Forse un giorno mi guarderò allo specchio e ci vedrò un vecchio
decrepito, e penserò:
− Mannaggia! Mi sono distratto di nuovo:
mi sono perso il momento preciso in cui sono diventato vecchio!
In ogni caso, è da un bel po’ che non mi
guardo allo specchio. Non si sa mai.
Hai scritto in modo originare e piacevole come passa il tempo,questa è la vita...OK...
RispondiEliminaCome per l'altezza del tavolo che indicava il raggiungimento dell'età adulta bisogna stabilire un elemento che indichi l'arrivo della vecchiaia, che so, una tacca nel muro che oggi si vede senza occhiali e domani non si vede più...
RispondiEliminaBrrrr che tristezza, mi sono fatta paura da sola. Meglio rimanere sempre gggiovani.
Ieri finalmente mi sono guardato allo specchio, e ci ho visto qualcuno che non mi aspettavo proprio. "Nonno!" ho detto. "Che ci fai nel mio specchio?" E lui: "Che ti frega? Fatti i cazzi tuoi!"
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