Con la partecipazione della più celebre coppia di Hollywood in veste di mascotte.

giovedì 1 agosto 2013

Il grande ritorno

Un nuovo racconto per voi. Ci ritroveremo nel roccioso deserto dell'Arizona, tra strade polverose, cespugli secchi che rotolano spinti dal vento e massi in bilico sulla cima di roccie appuntite. Assisteremo all'incontro di due vecchi compagni di viaggio che la vita ha separato e tenuti lontani per lunghi anni. Torneranno a correre insieme? Buon divertimento!


Gianluca Gemelli

Il grande ritorno

-1-

L’azzurro intenso del cielo dell’Arizona si alternava bruscamente all’arancione ferroso della ripida parete di roccia, mentre la spider rossa risaliva faticosamente i tornanti polverosi.
– Ci siamo, ormai, – disse lui, stringendo il volante.
– Lo spero bene, – rispose lei, indicando un punto sulla mappa che teneva in parte spiegata sul cruscotto e in parte poggiata in grembo. – Abbiamo fatto almeno duecento chilometri da quando abbiamo lasciato la highway 163!
– Duecento? Bazzecole, io...
– Sì, lo so, lo so! – lo interruppe lei. – Ai tuoi tempi te li facevi a piedi di corsa in un lampo: non si faceva in tempo a far partire il cronometro. Me l’avrai detto un migliaio di volte.
– Ma è la pura verità, baby. Anche adesso…
– Faresti prima a piedi che a cavallo di un missile. So anche questo.
– Humf, – replicò lui, e strinse ancora più forte il volante.
Nel frattempo l’asfalto aveva ceduto il posto alla terra battuta, e l’auto aveva dovuto rallentare.
– Che polverone! Avremmo dovuto prendere il SUV, non la spider! Non mi avevi detto che avremmo incontrato una strada in queste condizioni, – si lamentò lei.
– Anzi! Una volta la parte asfaltata non c’era per niente. Non ti ricordi la scia di polvere che mi lasciavo dietro? Era un vero e proprio marchio di fabbrica per i nostri cortometraggi. Te n’eri dimenticata?
– Sapessi da quanto tempo è che non rivedo quella roba…
– Anch’io… Beh, almeno fino a pochi giorni fa.
– Ne abbiamo ancora per molto?
– No, siamo quasi arrivati. Ancora un paio di tornanti e ci siamo.
Ma l’auto dovette rombare e sollevar polvere ancora per un quarto d’ora buono, prima che lui finalmente fermasse il motore e accostasse.
– Beh? Che succede?
– Siamo arrivati. Non vedi?
Una cassetta delle lettere arrugginita e vuota pendeva in cima a un paletto storto infisso nel terreno.
– Che? Ma qui non c’è nulla!
– Guarda, è lassù.
– Io non vedo proprio niente, – fece lei sollevando gli occhiali scuri sul fazzoletto che le copriva la testa e guardando in alto.
– Guarda meglio: è proprio lì.
Lei socchiuse gli occhi e finalmente vide l’ingresso buio di una stamberga. L’apertura nella roccia era bassa, ed era puntellata da un lato da un palo di legno un po’ storto. Non c’era segno di vita, a parte un vecchio barattolo di alluminio vuoto, coricato in terra.
– Oh mio Dio, ma davvero lui vive lì dentro? Che schifezza!
– È sempre stato un po’ spartano.
– Sembra tutto abbandonato!
– Tranquilla, Molly, è proprio quello il posto.
– Se lo dici tu…
Lui scese dall’auto e si tolse il berretto, liberando un ciuffo di piume blu che subito svettò in verticale. Si soffermò a guardare, con un mezzo sorriso, la targhetta scolorita sulla cassetta delle lettere, dove si potevano leggere a fatica le parole: Wile E. Coyote - Genio.
– Allora? Che si fa? – lo incalzò lei. Per tutta risposta lui chiamò a gran voce:
– Wile! Ehi Wile! Wile E. Coyote!
Nessuna risposta.
– Wilco, amico mio, vieni fuori!
– Wilco? – si stupì Molly.
– Sì. È una cosa fra noi, – spiegò Roadrunner.
Ancora nessuna risposta. Si voltò verso l’auto e si giustificò:
– Ci vuol pazienza: sai, è un po’ misantropo.
Poi Roadrunner riprese a chiamare:
– Wilco! Vieni fuori vecchio mio! Sono io, proprio io: Roadrunner!
– E datti una mossa, vecchio cagnaccio spelacchiato, – mormorò la pollastrella seduta in macchina.
– Ssst! Non bisogna offenderlo, sennò è finita!
– E se non ci fosse? E se non abitasse più qui? E se fosse morto?
– Non sono morto! – rispose una voce dall’alto. Lei si sforzò di guardare da dove provenisse, ma il sole le impedì di distinguere altro che una sagoma lontana.
– Wilco, vecchio rudere! – fece lui sorridendo, e avanzò un passo verso il fianco della montagna.
– Non ti avvicinare! La zona è minata! – intimò la voce.
– Ma figurati, – mormorò Roadrunner. Si fermò, riluttante.
– Che accidenti sei venuto a fare fin quassù? Cosa vuoi da me? – proseguì il coyote.
– Devo parlarti! Lasciami salire lassù da te!
– Non c’è assolutamente niente di cui io e te dobbiamo parlare, Doppia-Erre!
– Oh, andiamo, vecchio mio…
– Doppia-Erre? Ti ha chiamato così?
– Sì… Anche questa è una cosa tra noi due. È un buon segno!  Significa che non ha dimenticato i vecchi tempi.
– Sparite, voi due uccellacci!
– Se vuoi chiamarlo un buon segno… – sbuffò lei.
– Ehi, Wilco, ti chiedo solo…
– Rimontate su quell’affare e tornatevene in California, pennuti!
– Oh, Roddie, facciamo come dice lui: andiamocene via, non vedi che è tutto inutile?
– Un momento, cara. Sono sicuro che è tutta una finta. Aspetta e vedrai. Wilco, andiamo, su! Non fare il duro con me! Non hai certo dimenticato i vecchi tempi, no? Quante scorribande abbiamo fatto insieme, io e te! Io ti conosco meglio di chiunque altro!
– Bla, bla, bla! Te ne stai lì da un quarto d’ora e ancora non hai detto che diavolo vuoi da me!
– Affari, vecchio mio! Dobbiamo parlare di affari!
– Affari? Li conosco i vostri affari! Tornatevene a Hollywood, è là che si trattano gli affari! Fra i vostri amici rammolliti, a bordo piscina, non certo in mezzo al deserto!
Roadrunner sbuffò. La pollastrella allora si alzò in piedi: 
– Signor Coyote! Non sia così scortese! Abbiamo fatto un lungo viaggio per venire a trovarla!
– E chi ve l’ha chiesto?
– Oh, andiamo, signor Coyote… – cinguettò lei, sbattendo le ciglia.
– “Oh, andiamo, signor Coyote…” – scimmiottò la voce dall’alto. Poi continuò: – Ehi, gallinella! Ti sto guardando col telescopio e mi chiedo: che ci fa un bocconcino come te in mezzo al deserto? Devo ammettere che mi fai venire l’acquolina in bocca!
– È una cosa positiva? – chiese lei piano al Roadrunner.
– Non tanto: quando lui dice “bocconcino” lo dice in senso gastronomico.
– Cosa? Sta scherzando, spero!
– Molly! Ma certo che sta scherzando… Beh, più o meno…
– Oh, ma…
– Ah, ah, ah! Ci ho ripensato, Doppia-Erre! Potete salire qui da me! E lei può anche restare con me per cena! Slurp! Ah, ah, ah!
– Oh, povera me!
– Ecco, l’hai spaventata, vecchio troglodita che non sei altro! Sei contento adesso?
– Ah, ah, ah! Allora cosa fate, venite su o no? È quasi ora di cena!
– Roddie! Io lassù non ci salgo mica! Me ne torno a casa!
– Massì, gallinella, tornatene a Hollywood! Che io e il tuo Roddie dobbiamo parlare di affari!
– Roddie, andiamo via! Davvero, andiamo via!
– Vai tu, cara, io sbrigo questa faccenda, poi faccio una corsetta e ti raggiungo a casa, da te.
– Non vieni via anche tu? Quello è matto! E se poi ti mangia?
– Non lo farà, non preoccuparti. Io lo conosco bene. Abbiamo lavorato insieme per anni!
– Allora che fai, Doppia-Erre? Non volevi parlare di affari? Vieni su sì o no?  
– Roddie… – piagnucolò lei.
– Molly, vai pure a casa. Non preoccuparti.
Lei accese il motore. Poi chiese:
– Sei sicuro?
– Stai tranquilla, dolcezza. Ci vediamo dopo da te. Farò in un lampo, come al solito.
– Forza, che aspetti, gallinella? Tornatene a Beverly Hills! Ah, ah, ah!
– Sono una gallina gournay, per sua informazione! Non una gallinella qualsiasi!
  Gournay? Mai assaggiata! Ah, ah, ah!
– Humf! – sbuffò lei. E ripartì sgommando.
Il roadrunner guardò l’auto allontanarsi, poi tornò a rivolgersi alla montagna e gridò:
– Eccomi! Salgo su da te! Dimmi dov’è il passaggio nel campo minato!
– Non serve, sono qua io! – rispose una voce sorprendentemente vicina, facendolo trasalire.

-2-

Di nuovo l’uno di fronte all’altro: il coyote (Eatibus Anythingus) e il roadrunner (Accelerati Incredibilus). Si guardarono negli occhi in silenzio. Il Coyote fece scorrere lungamente la lingua sulle labbra. L’uccello fece la linguaccia ed emise uno strano verso irreverente, poi sorrise e disse:
– Wilco! Vecchio cane pulcioso! Qua la zampa! Ti trovo una favola!
– Anche tu ti difendi bene, vecchio pollo spennato, le comodità di Hollywood non ti hanno rovinato più di tanto, a quanto pare! Scommetto che corri ancora veloce come un tempo!
– Beh, più o meno! Certo gli anni son passati anche per me!
– Quasi vent’anni... Se non sbaglio l’ultima volta che ci siamo visti è stato a uno di quei party della Disney.
– Sì… la prima di Mulan, o forse La Sirenetta, non ricordo più.
– Bah. Non mi mancano certo quei dannati party. E non so proprio immaginare cosa ti porti qui da me.
– Ma come diavolo hai fatto a scendere così in fretta?
– Grazie a questo.
– Che cos’è? – chiese Roadrunner guardando il piccolo vano rettangolare apertosi nella parete di roccia.
– Un ascensore. Naturalmente la storia delle mine è una balla, ma non vorrai perder tempo ad arrampicarti fin lassù, no?
– No, certo che no.
– Allora vieni, andiamo.
Il modernissimo ascensore salì velocemente fin sulla terrazza naturale su cui si apriva l’apertura della caverna che Roadrunner e Molly avevano visto dal basso. La cabina cilindrica sbucò verticalmente dal terreno e Wilco condusse il suo vecchio compare all’interno della caverna.
– Ma come diavolo fai a vivere in questo immondezzaio?
Wile E. Coyote ridacchiò mentre infilava delle chiavi in una porta dissimulata nella parete interna della grotta, in una nicchia piuttosto buia.
La porta si aprì, rivelando un enorme ambiente lastricato, ben illuminato da una parete finestrata, che a quanto pare si apriva su un lato della montagna invisibile dalla strada. Al centro della sala una fontana: un coyote di pietra versava da una brocca acqua fresca e chiacchierina nella grande vasca sottostante.
Roadrunner rimase senza parole.
– Benvenuto nella mia tana, Doppia Erre!
– Wow… Ma allora è qui che vivi! Ma è favoloso! – fece l’uccello, aggirandosi incredulo tra statue, anfore e quadri pregiati.
– E questo è solo l’ingresso. Vieni, ti mostro il resto.
I due percorsero un corridoio su cui si aprivano altri ambienti moderni e lussuosi.
– Favolosa! La mia villa a Beverly Hills non è certo così grande! E secondo me neanche quella di Gastone Paperone! Ma perché diavolo hai camuffato l’ingresso da orrida tana?
– Oh, andiamo, lo sai bene: è per via di Nancy.
– Ah, tua moglie!
– La mia seconda ex-moglie, per la precisione. Se sfoggiassi uno stile di vita differente, lei andrebbe subito dal giudice e chiederebbe di aggiornare l’assegno per gli alimenti, il che mi costerebbe un capitale. Negli ultimi anni ho fatto qualche investimento e il mio tenore di vita, come vedi, è un pochino migliorato.
– Sì, giusto un pochino… – ridacchiò Doppia Erre. – Adesso capisco perché sei sparito. Per anni a Hollywood tutti si sono chiesti che fine avessi fatto, perchè ti fossi ritirato. Non avevi più bisogno di lavorare, ecco tutto!
– Oh, in realtà lavoro ancora moltissimo, anche se non nel cinema. Guarda qui.
– Ehi! Questo è il tuo ufficio? – fece Roadrunner entrando in un ambiente ampio, moderno e funzionale, dotato di scrivania, computer e schedari. Alle pareti alcune fotografie in bianco e nero del padrone di casa in compagnia di stelle holliwoodiane e altri personaggi famosi. Su una mensola, una statuetta impolverata: il premio Oscar.
– È bellissimo! – disse entusiasta il pennuto.
Si avvicinò alla scrivania e lesse una targhetta: Wile E. Coyote - Presidente.
– Presidente di cosa? 
– Del consiglio di amministrazione.
– Del consiglio di amministrazione? Sì, ma di cosa?
– Della ACME.
Doppia Erre scoppiò a ridere fragorosamente. Non riusciva a fermarsi.
– Beh, che ci vuoi fare? – spiegava intanto il coyote – Sono stato in affari con loro per anni. Prendi questa nuova tana: l’ho progettata io, e l’ho scavata nella roccia un po’ alla volta, nel corso degli anni, ma chi mi ha fornito macchine scavatrici, materiali da costruzione, eccetera? Senza il loro speciale servizio di spedizioni sarei stato del tutto impotente, qui in mezzo al deserto. Perciò quando ho deciso di acquisire una partecipazione in un’attività industriale è stato naturale pensare a loro. Grazie alle mie speciali doti poi, è stato un fatto naturale anche che mi abbiano eletto presidente.
– Tu! Un capitano d’industria! – rise ancora Roadrunner.
– Ridi pure, se vuoi, ma il fatturato della ACME è triplicato da quando ho preso il comando io.
– Wow! E la crisi economica?
– Beh, qualche problema c’è stato: recentemente ho dovuto vendere il settore farmaceutico, per esempio…
– Oh cielo! Non starai parlando di quelli che producevano quelle tue maledette pillole per accelerare le gambe… e il terremoto in pillole!
– Sì, quello e tanta altra robaccia, Viagra, Cialis… Ma gli altri settori reggono, anche quello delle catapulte, e ormai siamo una vera multinazionale! 
– Beh, che devo dire, vecchio mio? Complimenti!
– Non mi servono i complimenti. Mi serve che nessuno vada a raccontare a Nancy di tutto questo. Per colpa della mia prima moglie ho dovuto per davvero abitare quindici anni in quel buco ammuffito e puzzolente, – indicò la parete dietro cui si trovava la vecchia grotta, – e non voglio che succeda di nuovo.
– Oh, beh, con me puoi stare tranquillo. Terrò il becco chiuso.
– Bene. Vieni, andiamo in cucina.
– E lì che altro c’è?
– Niente che ti possa interessare: la camera da letto, il bagno, il mio laboratorio segreto, la base di lancio per missili, la sala proiezioni, l’eliporto personale e altra robetta.
– Ah.
– Ora che ci penso in realtà non c’è più tanto tempo per cucinare. Meglio farsi portare qualcosa. Tu cosa preferisci? Cinese? Giapponese? Indiano? Tailandese? Italiano?
– Ma… Siamo in mezzo al deserto! Ci metteranno delle ore! Faccio io un salto a prendere due pizze, se proprio vuoi. Sono velocissimo, lo sai bene. Da qui alla prima città e ritorno ci metto cinque minuti, non di più.
– Non ti disturbare. Sopravvivere nel deserto non significa doversi privare di tutte le comodità. Tu chiedi pure quello che vuoi, e avremo la nostra cena in pochi minuti.
– Ah, sì? Voglio proprio vedere come farai. Allora io dico: giapponese. Mi va il sushi, stasera.
– Ok. Sta a vedere, pennuto.
Wilco digitò una sequenza di numeri su una bottoniera sulla parete, e una porta scorrevole si aprì su un ampio ambiente circolare. Poi si mise davanti a un terminale sul cui schermo gigante compariva un planisfero popolato di punti luminosi, e cliccò su: TOKYO. Subito il planisfero svanì e al suo posto sullo schermo comparve l’immagine di un cuoco asiatico intento ad arrotolare filetti di pesce su cilindretti di riso bollito.
– Oh, salve capo! – disse il cuoco. – Sushi, stasera?
– Sì, per due. Urgentissimo.
– Servizio razzo?
– Sì.
– Alle solite coordinate?
– Sì, nome in codice: Tana del Coyote, Arizona.
– Roger. Lancio tra due minuti.
– Roger, – confermò il coyote soddisfatto.
– Che significa? – chiese Roadrunner.
– Ora vedrai. C’è da aspettare qualche minuto ma ne vale la pena: il vero sushi è quello che fanno a Tokyo. Intanto parlami di te. Hai intenzioni serie con quella gallinella gourmet?
– Gournay. Molly? Oh, non lo so. Può darsi. A volte penso che dovrei smettere di fare il ragazzino, mettere la testa a posto, sposarmi, fare dei figli, come Bugs Bunny e Gatto Silvestro. Gli anni passano. Ma non è facile per chi fa il nostro mestiere.
– Già. È un grosso rischio. Io ci ho provato due volte e questo è il risultato.
– Tu sei un caso particolare.
– Beh, sì, lo ammetto.
Una lampadina rossa nel quadro comandi sotto allo schermo iniziò a lampeggiare al suono di un allarme intermittente.
– Ci siamo! – disse Wile Coyote, e tirò una leva. Nel soffitto circolare si aprì un foro simile a quello di un otturatore fotografico. Roadrunner, ormai pronto a tutto, tacque e restò in attesa. Poco dopo ecco un piccolo missile scendere lentamente, attraversare il foro nel soffitto e atterrare in verticale.
– Scusa il fumo. Ora metto in funzione l’aspiratore.
Quando la stanza fu liberata dal fumo Wile Coyote si avvicinò al razzo e aprì uno sportello nel mezzo.
– Ecco il nostro sushi. La birra giapponese ce l’ho in frigo. Possiamo metterci a tavola.
Appena scaricata la merce che trasportava, il razzo iniziò a rombare, pronto a ripartire per tornare al punto di partenza.
– Presto, usciamo, qui si riempirà di nuovo di fumo tra un attimo!
– Servizio razzo, eh? Dovevo immaginarmelo, – mormorò Roadrunner.

-3-

– Non mi hai ancora detto perché sei qui. Anche se, riflettendoci un attimo, credo di saperlo.
– Tu cosa pensi che mi abbia spinto a tornare quaggiù?
– Vuoi propormi di tornare a lavorare nel cinema. So che ora fai il produttore.
– In effetti sì. Vengo a proporti di riprendere il tuo vecchio ruolo al mio fianco.
– Beh, puoi scordartelo. Con quella robaccia ho chiuso.
– Si tratta di un lungometraggio. Un colossal. E non lo produco mica io.
– E chi lo produce, allora?
 – Lui.
– Lui?
– Proprio lui.
– Il Topo? – scandì Wile Coyote, incredulo.
– Sì. Vuol dirigere il nostro grande ritorno.
– E tu ti sei lasciato convincere?
– Beh, si tratta di Topolino, dopo tutto. E inoltre… Mi ha fatto un’offerta che non è possibile rifiutare.
– Ma ti ha convinto anche a venire fin qui a cercare di convincere me! Incredibile!
– Quella è stata una mia idea: non voglio rinunciare al progetto solo perché tu sei un vecchio orso burbero!
– Oh, andiamo, sai benissimo che non sono più disposto a prendermi tutte quelle botte, cadere dal canyon, fare sempre la figura del fesso… Te l’ho detto chiaramente anni fa. Non voglio rifarlo mai più. Neanche per Topolino!
– Ma stavolta è diverso! C’è un’offerta economica che non abbiamo mai visto! E c’è una grande produzione e distribuzione sotto! La Disney ormai ha acquisito la Marvel e la Lucasfilm. Pensa alle possibilità che si aprirebbero se tu tornassi in scena: Wile Coyote & Spiderman, Wile Coyote contro Dart Fener... 
– Sciocchezze! 
– I vecchi fans sono in attesa da tanti anni… E i nuovi fans sono pronti a ridere a crepapelle per le tue gag!
– Roba vecchia, ormai. Le nostre vecchie gag non possono più funzionare.
– Andiamo, Wilco! Ne sfornavi una al giorno. Scommetto che hai continuato a scriverne di nuove, per tutti questi anni! Roba forte che nessuno ha visto mai!
– Beh, in effetti quello è rimasto il mio hobby preferito, e devo ammettere che ho della roba nel cassetto, – sorrise il Coyote.
– Visto? Anche tu sei pronto per il grande ritorno!
– No, non è possibile.
– Ascoltami, questa è l’offerta di Topolino...
L’uccello gli sussurrò qualcosa in un orecchio.
– Eh? Davvero? – si stupì il coyote.
– Proprio così. Hai capito bene.
– Ma è un… Ma è…
– È una fortuna, sì. E solo per tornare nel tuo vecchio ruolo. Lui ci crede davvero in questo progetto. Allora? Che ne pensi? Lui ottiene sempre quel che vuole! E non si può dirgli di no neanche stavolta, ti pare?
– Hummm… Hummm… No. Non tornerò.
– Ma senza di te il progetto non si può fare!
– E chi l’ha detto? Ci sono tanti attori bravi! Potresti formare una nuova coppia. Che ne so: Roadrunner e James Franco, oppure Roadrunner e Eddie Murphy…
– No! Non funzionerebbe! Anch’io ho accettato di tornare nel mio vecchio ruolo solo a condizione che anche tu tornassi a inseguirmi!
– E allora mi dispiace, amico mio.
– Wilco, guardami bene. Io ho continuato a lavorare nel cinema per tutta la vita. Ho conosciuto un sacco di gente. So quel che dico. Tu sei il migliore. Camminare per aria e abbassarsi a cercar di toccare il terreno con le dita sotto ai piedi… Saltare sopra un masso incastrato tra due cime e sospeso nel vuoto… Precipitare nel canyon… Tu sei un genio.
– Questo è vero. L'ho sempre detto.
– Nessuno sa precipitare nel canyon come te. Nessuno potrà mai sostituirti, e lo sai benissimo.
– Eh, eh, eh… In effetti…
– Devi tornare. Il mondo lo vuole. Il Topo lo vuole!
– Tornare? Tornare per il mondo? E tornare a fare la figura del fesso in confronto a te, di fronte al mondo? No, mi dispiace.
– Wilco! Questo progetto è troppo importante. Non possiamo rinunciare! Il Topo mi ha detto che è disposto ad offrirti di più. Tutto quello che vuoi!
– Non sono i soldi che voglio! – gridò il coyote alzandosi da tavola. – Tornare al successo oltretutto mi costringerebbe a rivedere l’assegno di mantenimento per Nancy, il che sarebbe proprio una gran seccatura. Anche se almeno, con i soldi del Topo, il problema economico non si porrebbe di certo…
Roadrunner restò a guardarlo camminare in circolo, toccandosi il mento con la zampa. All'improvviso Wile Coyote si fermò di botto, sorridendo: una lampadina accesa gli era comparsa sopra la testa, e rimaneva sospesa a mezz'aria. Roadrunner rise:  
 – Sei unico! Ma come diavolo fai?
 – E' solo un vecchio trucco. Ascoltami bene, uccellaccio: tornerò, ma a una condizione! Approverò il soggetto solo se nel finale ci sarà la scena in cui io, dopo averti finalmente catturato e cucinato… io… io… ti mangio! Ci dev’essere nel finale una scena in cui io finalmente ti mangio!
– Cosa? Sei impazzito per caso?
– No. Sto parlando seriamente. Prendere o lasciare.
– Ma… ma… e i fans? Ti pare possibile che possano accettare un finale di questo tipo?
– È il finale giusto di tutte le nostre vicende. Oltre che il giusto contrappasso per tutte le mie disavventure in tutti quei maledetti cortometraggi!
– Idiota! Fare la figura del fesso fa parte del tuo personaggio!
– Ti ho dettato le mie condizioni. Punto e basta.
Roadrunner tacque. Poco dopo estrasse un telefono cellulare.
– Che fai?
– Telefono al Topo.
– Hai il suo numero? – si stupì Wile Coyote.
Per tutta risposta potè udire una famosa vocina sottile, quasi un falsetto, dire “pronto?”.
– Ho la sua risposta. Dice che accetta, ma solo se nel finale c’è la scena in cui lui… mi mangia!
Dopo alcuni secondi di silenzio, il telefono squittì:
– Digli che accettiamo.
– Cosa? Ma io…
– Tu non ti preoccupare, digli che se la sua richiesta è di avere un finale in cui lui ti mangia lo avrà. Non ti preoccupare. Fidati di me.
– Hai sentito? – disse l’uccello rivolto al coyote. – È quella la tua richiesta?
Il coyote annuì.
– Se accettiamo le tue condizioni firmerai il contratto?
– Lo farò.
– Wile E. Coyote! – squittì il telefono – Ho la tua parola?
– Ce l’hai, Topo! Dammi un finale con la scena in cui io mangio Roadrunner e firmerò il contratto! – gridò il coyote.
– Farò di più. – rispose il telefono – Modifico subito il soggetto e te lo spedisco lì in Arizona. Servizio razzo.
– Servizio razzo? – si stupì Wile Coyote. – Ma…
– Ti sei mai chiesto chi detiene la maggioranza azionaria della ACME? Dammi cinque minuti.
La comunicazione fu chiusa.
– Beh, sono sinceramente stupefatto, – ammise Wilco.
– Io sono preoccupato, – ribattè Doppia Erre. – Il tuo finale non mi piace per niente. Non capisco perché il Topo abbia accettato.
– Una birra giapponese?
– Sì, grazie. Mi ci vuole proprio.
I minuti passarono lentamente. Finalmente udirono l’allarme intermittente che segnalava l’arrivo di un nuovo razzo.
Il vano di carico conteneva un documento di tre pagine dattiloscritte, dal titolo: The Walt Disney Company - Il ritorno di Wile Coyote e Roadrunner.
I due corsero a leggere le parole aggiunte a penna in calce al documento.
Nel finale del film, dopo l’ultimo rocambolesco inseguimento, il coyote cattura finalmente il roadrunner, lo cucina, lo mangia e sorride soddisfatto. Ha finalmente raggiunto l’obbiettivo che, letteralmente, inseguiva da una vita. Il film si chiude con una breve scena in cui vediamo il roadrunner che si allontana a bordo di un’auto, in dolce compagnia, dal che capiamo che in realtà c’è stata un’abile sostituzione (con un pollo congelato da inserire in una delle gag precedenti), e che il roadrunner è sinceramente contento che il coyote sia soddisfatto nel credere di averlo mangiato.
– Sì! – esultò l’uccello. – Quel topo la sa veramente lunga!
Wile Coyote stava per ribattere qualcosa, ma tacque udendo il squillare il telefono cellulare del suo compare.
– È lui? – chiese. Roadrunner annuì e gli passò l’apparecchio.
– Allora, coyote? Hai letto il soggetto.
– Si, signore… signor Topo…
– Hai avuto il finale che volevi?
– Beh…
– C’è o non c’è la scena in cui mangi roadrunner?
– La scena c’è, ma…
– Allora? Che ti aspettavi? Che avrei rinunciato ai possibili sequel? Ti ricordo che mi hai dato la tua parola. Vuoi rimangiarti anche quella? Cosa mi dici?
Wile Coyote tacque. Poi rispose:
– No. Non me la rimangio. Firmerò il contratto.
– Bene. Vi voglio tutti e due a Disneyland martedì mattina alle otto. Passo e chiudo.
– Roger, – mormorò il coyote.
I due rivali sono uno di fronte all’altro, in silenzio: il coyote (Eatibus Anythingus) e il roadrunner (Accelerati Incredibilus). Si guardano negli occhi in silenzio. Il Coyote si lecca le labbra. L’uccello fa la solita linguaccia ed emette quel suo verso irreverente. Poi sorride e dice:
– Ha messo in riga anche te! Te l’avevo detto! Lui ottiene sempre quello che vuole!
– Gia! – risponde Wile E. Coyote – Ed ora tocca a noi rimetterci in pista.
– Beep! Beep!





5 commenti:

  1. Ottima trama e ben scritto, fluido e spassoso!

    Unico neo la storpiatura dei nomi inglesi :-(

    Voto: 8,5

    RispondiElimina
  2. Graze del bel voto. Mi sono divertito molto a scrivere questa storia. La storpiatura dei nomi inglesi? Intendi dire il loro adattamento italiano, tipo Gatto Silvestro anzichè Silvester Cat o Topolino anzichè Mickey?

    RispondiElimina
  3. No, in realtà delle cose sciocche (Hollywood l'hai scritto correttamente le due prime volte, poi le due successive hai messo la "i" (lo so che per voi italiani "es la misma cosa", ma... ;-) la iupsilon (come dicheno a Roma) è tanto bella!
    (e poi ci sono due typo: manca la "r" in Murphy, e stamberga, non nb), una virgola mancante dopo un interiezione.

    La domanda è: perché lasciare il nome del coyote in inglese, avendo tradotto gli altri (Topolino e compagnia bella?) http://it.wikipedia.org/wiki/Willy_il_Coyote_e_Bip_Bip

    E senza questi (lievi) "errori" sarebbe stato un nove pieno!
    Buona continuazione d'estate: a Roma è entrata nel vivo!

    ps. Lo so che sono (troppo) pignola... :-)

    "Il traduttore è con evidenza l'unico autentico lettore di un testo. Certo più d'ogni critico, forse più dello stesso autore. Poiché d'un testo il critico è solamente il corteggiatore volante, l'autore il padre e marito, mentre il traduttore è l'amante."
    Gesualdo Bufalino, Il malpensante, 1987.

    RispondiElimina
  4. Grazie per avermi segnalato i misprint.

    Wile E. Coyote in italiano effettivamente a volte è chiamato Willy il Coyote, e Roadrunner è chiamato Beep Beep... Ma non c'è sotto una vasta letteratura a fumetti e una tradizione nazionalpopolare come per Topolino & co e per Silvestro e Titti, per questo secondo me per loro suona meglio il nome originale.

    D'altro canto noi italiani diciamo "la regina Elisabetta" e "il principe Carlo", ma non i principi "Guglielmo e Catia", bensì questi ultimi li chiamiamo "William e Kate", perchè dopo gli anni settanta (più o meno) si è cominciata a perdere l'abitudine di adattare i nomi anglosassoni. Similmente per esempio è avvenuto che Sylvester e Twitty Bird, che da noi sono celebri da decenni: sono stati ribattezzati. Wile Coyote e Roadrunner, oltre a non necessitare di doppiaggio, erano un po' più di nicchia, per cui secondo me all'epoca non sono passati per l'apposito ufficio, e non hanno avuto un battesimo italiano vero e proprio. Un altro che ha saltato l'ufficio immigrazione è Speedy Gonzales, pur celeberrimo, ma lui correva troppo veloce per fermarsi a farsi assegnare un nome italiano.

    RispondiElimina
  5. Famiglia che vai, nomi che trovi?

    Eh, sulle questioni italiane magari non sono la più competente, però in casa mia parliamo di Willy il Coyote e Beep Beep (credevo si scrivesse Bip Bip, pensa te!), ma anche di Daffy Duck e Bugs Bunny (eh, sì, siamo patiti di cartoni, i Looney Tunes poi...).

    Tornando alla traduzione dei nomi propri però, due begli esempi (si fa per dire) sono:
    (toponomastica romana): passi pure per Via Sciangai (Torrino), ma... Largo dello Scautismo?!? Roma Scout Center - Largo dello Scautismo, 1, 00162 Roma (piazza Bologna).

    "Oh-oh, mi è semblato di vedele un gatto!" («I tawt I taw a puddy tat»)

    RispondiElimina