Non stiamo vivendo in tempi orribili? Che bisogno c'è del racconto di Halloween? Eppure so che voi siete qui per questo: paradossalmente un bel racconto angosciante è proprio quel che ci vuole, di questi tempi, magari proprio per allentare la tensione. Quindi godetevi questo, e poi fatemi sapere. Buona lettura!
TUNNEL
di Gianluca Gemelli
Il
cavalcavia, la lunga curva sopraelevata, quasi invisibile contro il cielo
notturno, se non fosse per il fatto che copre le stelle. E poi, in fondo al
rettilineo, la galleria. Significa che resta solo un’ultima ora di autostrada. Dopo,
ancora mezz’ora di strada statale, e poi finalmente lo accoglierà il familiare
viale di casa. Roberto pregusta il momento in cui scenderà dall’auto e
finalmente respirerà di nuovo l’aria fresca della collina.
Le quattro ore di viaggio necessarie per
tornare a casa fanno sì che ci torni solo per il fine settimana, e neanche
sempre. Non c’è nessuno ad aspettarlo nel suo vecchio appartamento, e ritroverà
il letto ancora disfatto e il pavimento ancora sporco, tutto come lo ha
lasciato lunedì mattina. Sì, però... quella sì che è una casa, e quello sì che è
un letto. L’appartamento in città che condivide con Federico e Michele... Beh,
quello non è mica casa sua. E poi Michele russa, e non rispetta neanche i turni
della pulizia del bagno.
Uno sbadiglio, un movimento della testa
per far scrocchiare un po’ il collo, e imbocca la galleria. L’autoradio,
sintonizzata su una stazione che a la sera del venerdì trasmette sempre un
programma dedicato al rock progressivo, come al solito si azzittisce dopo poche
centinaia di metri sotto la montagna. Roberto sorride pensando che, se
all’arrivo non si sentirà troppo stanco, farà ancora in tempo a fare un salto
al Pub, dove troverà sicuramente qualcuno dei suoi vecchi amici. È un pensiero
che fa tutti i venerdì sera. Ma poi, quando scende dall’auto, non resiste mai: sale
a casa, infila il contenuto puzzolente della valigia in lavatrice, anche se il
bucato poi lo farà l’indomani mattina, tira fuori una birra dal frigo, si mette
il pigiama e si ficca a letto. Gli amici li vedrà, come sempre, sabato sera.
Ma quanto dura stasera, la galleria? Che
c’è? L’hanno allungata? Roberto ridacchia. Quant’è lunga, in realtà, quella
galleria? Boh, qualche chilometro... Non lo sa esattamente. E quanto ci si
mette a percorrerla? Boh. Questione di dieci minuti, più o meno. Ma
allora perché non è ancora finita? Sul serio: non dovrebbe essere già fuori,
ormai? Almeno il blackout radiofonico, non dovrebbe essere finito da un pezzo?
Di solito la radio ricomincia a farsi sentire ben prima dell’uscita. Possibile che abbia perso
la cognizione del tempo pensando a cosa fare una volta a casa? Possibile che
siano passati molti meno minuti di quel che gli sembra?
È possibile, sì: è cambiato qualcosa
nella galleria, devono aver fatto dei lavori, forse per questo le sensazioni
che ha sono diverse. L’illuminazione è cambiata: sul soffitto ci sono dei
grossi rettangoli luminosi bianchi, simili a quelli, arancioni, che sfilano
lungo i lati. I limiti della carreggiata sono resi ben evidenti, sì, ma il
tutto non fa molta luce: il tunnel si perde nel buio.
Perché fanno questi cavoli di lavori, se
poi la visibilità peggiora, anziché migliorare? Boh. E poi questa nuova
illuminazione dà un senso di angoscia e di oppressione. Davvero sembra che la
galleria non finisca mai. Roberto non vede l’ora di uscirne. Prova a respirare
a fondo e sbuffar fuori l’aria, lentamente, per calmarsi. Che diamine, non
l’avranno mica davvero allungata, la galleria, no? Tra un attimo sarà fuori. Non
è possibile che abbia sbagliato strada... Ci vuol solo ancora un po’ di
pazienza. Dopo una settimana di lavoro, è dura guidare di notte. Ma uno che si
fa quattro ore di autostrada ogni weekend, non si fa spaventare da una
galleria, ti pare? Roberto accelera.
E ancora non finisce! Ma come mai? Tra
l’altro sta certamente andando più veloce del solito. Il fatto è che con questa
specie di illuminazione del cavolo non si vede niente, neanche la fine del
tunnel. Magari manca poco alla fine, ma se uno non la vede, sembra davvero che il
tunnel non finisca mai! Ma che ore sono? Nella penombra Roberto non riesce a
leggere bene neanche il quadrante dell’orologio. Vorrebbe trovare conferma al
fatto che in realtà siano passati solo pochi minuti.
Deve alzare di nuovo lo sguardo: un
autotreno è comparso nello specchietto retrovisore. Almeno... dovrebbe essere
un autotreno, ma... che razza di roba è?
È una cosa grande quanto tutta la
sezione del tunnel, a forma di U rovesciata. Ha sì due fari nella parte
inferiore, come ce li ha un camion, anche se sbiaditi quanto le luci dei
rettangoli del soffitto, ma ha anche un grosso e potente faro abbagliante
rotondo in alto, come ce li hanno alcuni treni. Roberto non ha mai visto niente
di simile. Se davvero è grande quanto tutta la sezione del tunnel, dev’essere
alto più di sei metri. E si sta avvicinando rapidamente.
Roberto accelera. Accelera ancora.
Centosessanta e più. Ha il cuore in gola, ma la galleria non finisce, e vede
nello specchietto quel coso che la riempie tutta che continua ad avvicinarsi.
Ha il fiatone. Si guarda intorno. Ci
sono delle nicchie rettangolari ai lati della carreggiata. Le ha notate da un
po’. Come avranno fatto a scavarle? Una settimana prima non c’erano. Oppure sì?
Magari ha davvero sbagliato strada. Ma intanto quel coso si avvicina ancora, se
non si leva di mezzo finirà schiacciato. C’entra la sua auto in una di quelle
nicchie? Sembrano appena appena della lunghezza giusta. Se ci si infila dritto
per dritto, a questa velocità, si schianta contro il muro. E poi non si può entrare
in un parcheggio lungo quanto un’auto entrando in avanti, se bisogna
parcheggiare di precisione bisogna farlo a marcia indietro. Deve guadagnare un
po’ di vantaggio per tentare la manovra. Schiaccia a fondo l’acceleratore e
lascia che il motore vada sotto sforzo. La velocità sale fino a centottanta, ma
ancora non basta. Roberto non è abituato a guidare così veloce, e sa che il
motore non reggerà a lungo, ma non può far altro.
Centonovanta... Centonovantacinque...
Più di così non va. Se si distrae un secondo si accartoccia contro la parete.
Ma il coso non si sta più avvicinando, anzi, sta retrocedendo lentamente. Ma di
questo passo brucerà il motore. Deve farlo. Deve trovare il coraggio di farlo.
Inchiodare a questa velocità è pericoloso, e poi appena fermo quell’affare gli
piomberà addosso. Ma non c’è altro da fare. A parte forse scendere dall’auto e
rintanarsi in una delle nicchie. Solo che così l’auto sarà travolta, e magari
la carcassa finirà addosso a lui. E poi ormai sente in cuor suo che, chissà perché,
la galleria si è davvero allungata a dismisura, ed è difficile pensare che
possa uscirne a piedi.
Adesso! I freni stridono. L’auto
mantiene l’assetto a fatica. Roberto ingrana la retromarcia mentre l’auto non è
ancora ferma. Il motore urla di dolore. Roberto si infila nel rettangolo
incorniciato su tre lati dal cemento senza guardare nello specchietto
retrovisore. Sa che il mostro si avvicina velocissimo, anzi è già lì. Il
paraurti posteriore urta il cemento. Parcheggio riuscito! Una specie di enorme
treno scuro, illuminato debolmente di arancione dai rettangoli luminosi
laterali della galleria gli passa accanto rombando, facendo ballare la macchina
e tremare i vetri dei finestrini.
Il mostro è passato. Roberto sta
cercando di riprendere fiato. Piange. Ride. Pensa di essere impazzito. Ha
rischiato la pelle. È nel ventre della montagna, o forse della Terra, in un
tunnel infinito. Ma è vivo. Ha fregato il treno, l’autotreno... insomma il
mostro. Una gran bella manovra, tra l'altro. E adesso?
Ora che è fermo, gli viene in mente che
può usare il telefono. Una volta sotto le gallerie i telefoni cellulari non
prendevano, ma oggi sì. Insomma, spesso... Quasi sempre. Almeno per le chiamate
di emergenza. Deve essere così anche lì. Anche perché di segnali che indicano le
colonnine S.O.S. non ne ha visti. Devono averli tolti per fare i lavori... Ma
perché continua a ragionare come se questa fosse la solita galleria, come se ci
fosse una spiegazione a tutto quel che gli sta succedendo? Da quanto tempo è lì
sotto? Una galleria così lunga non esiste. E in quale galleria asfaltata e
senza binari ci passano i treni? Esistono i treni su gomma? Ma aveva poi le
ruote quel coso? E se non era un treno... perché tra l’altro non esistono treni
così grossi... se non era un treno, cos’era? No. Non era un treno e quella non
è una galleria. È un inferno, è un incubo, è un salto in un altro tempo e in un
altro spazio... È un qualcosa... Dio solo sa cosa.
Il telefonino non registra campo né
rete. Già. Non può esserci rete nel nulla. Meglio così. Chi avrebbe chiamato?
La polizia stradale? E cosa gli avrebbe detto? Meglio sedersi e aspettare.
Prima o poi passerà qualcuno. Un auto, oppure il soccorso stradale.
Apre lo sportello e si affaccia fuori
dall’auto. La galleria si perde nel buio in entrambe le direzioni. Scende a dare
un’occhiata. È piuttosto diversa da una normale galleria autostradale. I
rettangoli arancioni non sono catarifrangenti, sono dei grossi fogli sottili,
sembrano di plastica ma sono debolmente luminosi. E... ronzano. La volta è
molto più alta del normale. Le fiacche luci al centro del soffitto sembrano
essere a dieci metri di altezza o più. Quella specie di treno era davvero
enorme. Non esiste davvero una cosa del genere, eppure lui l’ha vista, anzi,
per un pelo non è stato travolto. Sull’asfalto non ci sono strisce di mezzeria
o altro. Segnaletica in rifacimento? No. A quel coso di prima non serviva la
segnaletica orizzontale, visto che era grosso quanto tutto il tunnel.
No. Non passerà nessun’automobile. Non
sa dov’è, ma certamente non è una galleria autostradale, e non esiste nessun
soccorso stradale lì. Com’è ha fatto a finire in questo guaio? Ha sbagliato
qualcosa? Inutile chiederselo. Continua a guardarsi intorno.
Ha parcheggiato l’auto in una nicchia
lunga circa un metro e mezzo più dell’auto. Correndo a duecento all’ora
sembrava anche più corta. La parte posteriore dell’auto è ammaccata.
Probabilmente il bagagliaio non si potrà più aprire. Chi se ne frega. Non è
questo il problema, adesso.
Dietro l’auto, nella nicchia, non c’è
assolutamente niente. In altre gallerie... anzi, nelle gallerie del suo mondo,
dove ci sono delle nicchie ci sono anche delle porte metalliche: vie d’uscita,
tunnel di servizio o rifugi di emergenza... Qui niente. Tocca la parete davanti
a se. Pietra. Cemento. Vorrebbe attraversare la strada, vorrebbe esplorare
l’altra parete. Non ce la fa: gli tremano le gambe. L’aria è viziata. Sembra di
stare al centro della Terra, lontano mille chilometri dall’aria fresca. Roberto
non ha mai sofferto di claustrofobia, ma ora l’angoscia sale e la respirazione
è faticosa. Deve chiudere gli occhi e sforzarsi di mantenere la calma.
Che deve fare? Deve rimettersi alla
guida? E se poi ritorna uno di quei cosi enormi? Ce la farebbe a rifare la
manovra? Deve avviarsi a piedi? E se il coso ritorna mentre lui sta a piedi?
Basta correre fino alla prossima nicchia. Si può fare, se le nicchie ci sono
per tutta la lunghezza della galleria. Ma se non fosse così?
Roberto riflette. Nelle nicchie non c’è
assolutamente niente. Probabilmente sono degli elementi strutturali e basta,
servono ad alleggerire o a irrobustire la volta, o qualcosa di simile. Sì,
probabilmente le nicchie continueranno per tutta la lunghezza della galleria.
Probabilmente è possibile percorrerla a piedi senza finire schiacciati, anche se uno di quei mostri ritornasse. Ma
quanto sarà lunga? E dove sbucherà, ammesso che sbuchi da qualche parte?
Sospira, si massaggia le gambe e poi si
mette lentamente in cammino.
Bello! Però lascia con la curiosità di conoscere la seconda parte...
RispondiEliminaHo fatto il classico finale aperto alla ALfaroli :D
EliminaAh, ah, ah! Grande!
EliminaCondivido su feisssbuc.
RispondiEliminaAdoro
RispondiEliminaAh che angoscia!Mi piace il contrasto tra la parte adrenalinica e quella claustrofobica.
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