Avete anche voi, come il protagonista del racconto, un luogo particolare, che visitate spesso nei vostri sogni? Spero che Nel mondo dei sogni vi piaccia! Poi fatemi sapere. Buona notte a tutti e, soprattutto, sogni d'oro!
NEL MONDO DEI SOGNI
di Gianluca Gemelli
Non molto tempo fa ho fatto una scoperta
sorprendente, riguardo ai sogni che faccio. Sì, i sogni sono sempre stati
qualcosa di importante per me, o almeno qualcosa a cui, da sempre, faccio
parecchio caso.
Sarà capitato anche a voi di avere un
sogno ricorrente, no? Non vi devo spiegare di cosa si tratta. C’è un mio amico
che dice che non è detto che tutti i sogni che sembrano ricorrenti lo siano
veramente: ti può anche capitare, contemporaneamente al sogno che stai facendo,
di sognare anche la sensazione di averlo già sognato. Sarà, ma siccome sono
anni che sogno la stessa cosa e che me la ricordo ogni volta, non penso che sia
il mio caso.
A dire il vero per me non è il sogno ad
essere ricorrente, ma la sua ambientazione. I sogni sono sempre diversi, cioè,
ma molti sono ambientati in un luogo particolare, che vi saprei anche descrivere,
grosso modo.
Dunque, si tratta di una piccola
cittadina, con una via centrale con tanto di negozietti, vetrine, bar, uffici.
C’è anche un barbiere, ma in sogno non ci sono mai entrato. Anzi, a dirla tutta, nei miei sogni bazzico
più che altro la periferia. Lì ci sono varie zone, piuttosto squallide. Una è
un grosso spiazzo, pavimentato con un semplice strato di piccole pietre, dove
sorgono dei capannoni di legno, vecchi e decrepiti. Su uno dei capannoni c’è un
manifesto strappato: è sempre lo stesso, lo riconosco, in ogni sogno, ma non so
cosa c’è scritto.
Poi c’è una zona con un lungo viale
alberato, su cui si affacciano case di legno. C’è un vecchio, pelato e con la
barba bianca, che abita in una di quelle case, all’inizio del viale. Lo
incontro spesso: a volte è affacciato alla finestra, altre volte è seduto sulla
veranda.
Poi c’è una zona con una rete metallica che
chiude il cortile di una specie di segheria. Quella è la zona che sogno più
spesso: a volte sono lì da solo, a prendere a calci una latta vuota, altre
volte cammino e c’è lì qualcun altro, con me. Io non lo vedo ma lo conosco e so
che c’è. So anche come si chiama: Butch. Parliamo, sento la sua voce, è al mio
fianco, solo che io non lo vedo, perché guardo per terra. Oppure è dietro di
me, mi segue mentre camminiamo, ma io non mi giro mai. C’è un sacco di polvere
in quel posto.
Non conosco il nome di questa città, o
forse un nome non ce l’ha nemmeno. E credo che sia anche una cosa normale che
non ce l’abbia un nome, dato che esiste solo nei miei sogni, e nei sogni non mi
capita di chiedermi come si chiama il posto dove sono: sono semplicemente là.
Qualche volta con noi c’è un cane bianco
e nero. So che si chiama Blot, ma io lo chiamo fischiando. Nei sogni so fare
dei bei fischi.
C’è poi un posto tutto fangoso, che non
si può chiamare strada o viale, lì si sprofonda nella terra acquitrinosa. So
che da lì si arriva da qualche parte, oltre i rigagnoli e i cespugli. Non so
dove, però so anche che è un posto sporco e puzzolente, che mi disgusta, anzi
che mi fa paura, per cui me ne tengo sempre alla larga, nei sogni. Quello è
l’unico posto che non conosco per niente, della città dei miei sogni,
chiamiamola pure così. A parte la bottega del barbiere.
Più in la c’è una chiesa di legno. Sulla
strada c’è una lavagna su cui Padre Ronald scrive della roba sempre diversa, ma
io non la leggo mai. Forse nei sogni non so leggere. Strano, vero? Specie
considerando che lavoro per una casa editrice.
Ancora più in là c’è la campagna, con
dei campi di mais, e più in là ancora c’è una strada sterrata, poi una fattoria
con un grosso granaio rosso e il traliccio di un pozzo, sai quelli con sopra quella ruota a
vento che gira. E poi c’è una montagna, con un sentiero ripido pietroso che
conduce in cima. Dal basso non si vede, ma in cima c’è una casupola di pietra
con una croce sopra il tetto. E c’è anche un bosco: dentro un certo albero c’è
un alveare di api selvatiche, bisogna stare attenti.
Qualche volta ho raccontato di questo
posto che torna sempre nei miei sogni. Ne ho parlato a mia moglie, ovviamente,
ma anche al mio dottore, una volta. Lui non è uno psichiatra, uno psicologo,
insomma quella roba là. Lui non lo è. Ma insomma, sempre un dottore è, per cui un
giorno ho deciso di raccontargli questa cosa. Lui mi ha detto che probabilmente
si tratta di una proiezione mentale costruita a partire da ricordi d’infanzia.
Forse è un mix, per dire, del paese di mio nonno con quello in cui andavo in
vacanza da piccolo, o roba simile. Può essere, perché i luoghi mi sembrano
sempre molto familiari, però l’impressione che ho è che lo siano proprio perché
li sogno sempre, non per altro: insomma non riesco a metterli davvero in
relazione con niente che ho realmente vissuto.
Ma vi avevo detto che ho fatto una
scoperta, no? Beh, credo che sia questa: questa squallida cittadina non è
soltanto un sogno ricorrente, io la sogno davvero sempre, ogni volta, ogni
volta che sogno, e ogni sogno che faccio.
Ho sempre avuto ben presente la
cittadina, con il centro, la periferia, i capannoni, la zona fangosa, eccetera.
Sapevo che la sognavo molto spesso. Ma non mi ero mai reso conto che anche gli altri
posti che mi è capitato di sognare, come ad esempio la montagna o il bosco, o
l’interno della baracca della segheria, in realtà si collocano sempre nei
dintorni della famosa cittadina senza nome.
Naturalmente si può pensare che questa
sia tutta una mia ricostruzione a posteriori: insomma sono io che colloco l’uno
accanto all’altro gli ambienti dei miei sogni, e nasce questa fantomatica
cittadina con tutto quel che la circonda. Che vi devo dire? Magari è davvero
così, ma la sostanza dei fatti non cambia: tutto il mio mondo dei sogni sta lì.
Se si tratta di un disturbo mentale, è
un disturbo mentale piuttosto originale, no? Beh, almeno non è di quelli che
fanno male a nessuno. Però è una cosa molto strana, me ne rendo conto. Per
dire: tutti quanti o quasi sognano l’esame di maturità, o le persone care
defunte, o altre cose che riguardano la vita reale, magari modificate, magari
trasposte... Io no. Mai una volta che abbia sognato di essere a scuola, oppure
mio nonno, o il capufficio... Sempre e soltanto io, Butch e Blot che ce ne
andiamo a spasso per le strade polverose, o nel bosco, o io che mi nascondo
nella baracca della segheria, o che salgo sulla montagna, eccetera... Non è
normale, lo so. Ma che ci posso fare?
Ci sono anche gli incubi, certo. Come
essere inseguito dalle api nel bosco: quando mi pungono di solito mi sveglio.
Le api e le vespe mi spaventano molto anche nella vita reale: ho messo le reti
alle finestre di casa, ho due bambini e non si sa mai. Oppure il dolore alle
piante dei piedi quando cammino sulle pietre dure... anche quello è un incubo,
perché nei sogni di solito vado in giro scalzo. Un altro incubo è quello in cui
mi fermo davanti a quella specie di sentiero fangoso, quello che mi fa schifo.
Ho paura di mettermi, chissà perché, a camminare su quel fango, e per di lì
andare a finire in qualche posto molto brutto, oppure di veder arrivare
qualcuno che mi fa paura.
Insomma, questa è la mia storia, e a
dirla tutta, forse dovrei andare da un vero psichiatra, oppure almeno tornare a
parlare di questo fatto al mio dottore, perché quando gli ho parlato del mio
sogno ricorrente non mi ero ancora reso conto del fatto che tutti, ma proprio
tutti i miei sogni avessero la stessa ambientazione. Ma cosa mi direbbe? Forse
mi direbbe che sono matto, semplicemente questo.
O forse mi direbbe che devo andare in
fondo, scavare nel mio subconscio, o quello che è, scoprire le cause di questi
miei sogni a senso unico.
Magari mi direbbe di farmi forza, di
vincere le mie paure, di andare lì, di camminare su quel fango, anche se è
sgradevole, anche se è schifoso, anche se i piedi nudi e doloranti ci affondano
fino alle caviglie, e andare a vedere cosa c’è veramente, laggiù, dietro i
cespugli.
Ma io non voglio andarci, perché ho
paura di trovarci Butch, laggiù, e stavolta lo vedrei lì, davanti a me.
Piccolo. Ha sei o sette anni. E io ne ho solo uno in più di lui. Ed è negro,
come me, ovviamente: siamo fratelli. Anche lui è scalzo. Indossa solo un paio
di pantaloni troppo larghi con una bretella su, e una rotta che pende. Non ha
niente sotto. Io, d’altro canto ho addosso soltanto una vecchia camicia, che mi
arriva fin quasi alle ginocchia. E c’è una baracca, giù in fondo, e so che lì
dentro non c’è niente da mangiare, e c’è Ma’ che sta morendo, e forse c’è anche
Pa’, e se c’è è completamente sbronzo, e pronto a togliersi la cinta, come
sempre. E Butch cosa mi direbbe? Mi direbbe:
− Sbrigati, vuoi darti una mossa? Dobbiamo
tornare a casa. E vuoi smetterla di sognare, una buona volta?
No, non voglio andarci. Preferisco
sognare.
E'molto benfatto e interessante,è anche profondo e scientificamente verosimile ...OK...
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