Ecco un nuovo racconto per voi!
Stavolta vi porto in un'osteria romana davvero molto esclusiva. Vi consiglio di ordinare il vino della casa... anche perché lì non c'è altro. Però almeno non avrete il problema del parcheggio!
Buon divertimento!
NON TUTTE LE STRADE...
di Gianluca Gemelli
Forse non avrei dovuto proseguire, avrei
dovuto girare a destra quando lo diceva il navigatore... Ma come facevo? C’era
scritto Zona a Traffico Limitato, e
se poi mi facevano la multa?
A dar retta a quanto gli suggerisce quel
che rimane del suo senso di orientamento, Mario sta percorrendo ora una
parallela ignota e senza nome del Lungotevere
− il navigatore satellitare del cellulare si è misteriosamente disattivato − e
per riavvicinarsi finalmente alla sua meta dovrebbe fare un giro
dell’isolato... Se ci fosse, un isolato! Infatti né il muro giallo scrostato
che corre da una parte, né l’intrico di rovi dall’altra sembrano aver alcuna intenzione
di interrompersi, con il risultato che per ora continua ad allontanarsi. Senza
contare che da qualche parte sulla destra, forse subito dopo quell’impenetrabile
e spinoso reticolato vegetale, deve pur esserci il fiume, per cui forse
stavolta due semplici svolte a destra non basteranno, per ritrovarsi al punto
di partenza. Ma tornare indietro è impossibile: la strada è a
senso unico, e in ogni caso è troppo stretta per far manovra, per cui...
Che ci vuoi fare? Questa è Roma. Devo
avvisare Claudia che farò tardi... Ah, già, questo maledetto cellulare non
prende più niente: zero tacche. Roba da matti. Deve avere un problema lui, non
è possibile che al centro di Roma...
Una buca nell’asfalto lo fa sobbalzare.
Ecco, ci manca pure che spacco la
macchina... Ma che strada è?
Un centinaio di metri più avanti, ecco
finalmente una stradina laterale affacciarsi timidamente sulla destra,
interrompendo il roveto. Mario rallenta fin quasi a fermarsi.
È meglio svoltare qui, o è meglio di no?
Se proseguo ancora arrivo a Milano... Ma questa stradina? Dove diavolo porterà?
In riva al fiume?
Mario alza le spalle e svolta a destra. Spera
che il suo senso di orientamento si stia sbagliando di grosso: a volte capita.
Forse si ritroverà miracolosamente in un quartiere dove può raccapezzarsi.
La stradina invece si infila stretta e
ripida tra la vegetazione, ed è ancora più piena di buche di quella che ha
appena lasciato. Mario suda al volante. Dove diavolo sta andando a infognarsi?
Ma non se ne poteva stare tranquillo a casa, stasera? C’era pure un film di
Jackie Chan alla TV. Accidenti a Claudia e ai suoi nerdissimi amici, loro e i
loro cineforum del cazzo!
A un tratto la strada si fa ripidissima
e per un lungo tratto è talmente scivolosa che le ruote slittano pericolosamente.
Mario stringe il volante serrando i denti, ma per fortuna la stradina è quasi
un tunnel tra i rovi, e la vegetazione intricatissima impedisce all’auto di
andar fuori strada.
Finalmente le ruote ritrovano aderenza. Ma
anche la remota possibilità di tornare indietro a retromarcia è svanita del
tutto. Bisogna proseguire, e lentamente.
Una svolta a sinistra, un muro malandato, delle vecchie costruzioni scrostate
intorno a una microscopica piazzetta... E la stradina finisce lì: davanti al
muso della sua auto c’è parcheggiata una vecchia Golf coperta di polvere.
Mario ferma l’auto, sospira e si
stiracchia. Questa stradina è talmente stretta e fuori mano, anche se è strano
dirlo, dato che stiamo al centro di Roma, che al proprietario della Golf non
importa di bloccarla parcheggiandoci il suo macinino. Probabilmente è abituato
al fatto che chi passa di lì gli deve chiedere di spostarla per proseguire. Ma
saranno ben pochi a passare di lì. Forse la stradina è privata, e solo chi,
come lui, ci finisce per sbaglio, va a disturbarlo.
Mario scende, e nota che sulla stradina,
davanti alla Golf, sono parcheggiate altre auto. Una Renault 5, − da quanti
anni non ne vede una? − una Fiat 125 tutta arrugginita, e più avanti gli sembra
di vedere una Fiat 850 sport, una Cinquecento... Ma che è, il museo dell’auto?
E davanti alla cinquecento, cosa c’è? Si sta facendo buio, non si vede bene.
Tutt’intorno c’è una vera foresta, anche
sotto le macchine sono cresciuti arbusti e cespugli. Quelle auto non si muovono
da anni. Ci dev’essere un’altro modo per uscire di lì. Il cellulare non prende
una tacca manco a supplicarlo. L’unico segno di civiltà sono quei tre piccoli
edifici che si aprono sulla piazzetta: davanti all’ingresso di uno è accesa una
lampadina protetta da un paralume metallico arrugginito. Deve andare lì a
bussare. Cammina verso l’ingresso facendo scricchiolare il brecciolino.
Avvicinandosi sente voci, rumore di
bicchieri e risate. La porta è metallica, ma la parte superiore è di vetro, e,
dietro una tendina sporca, Mario riconosce un locale: un bar, un’osteria...
Qualcosa di molto all’antica e molto romano. Sorride, spinge la porta, respira
il calore della sala, un campanellino tintinna.
È come se quel suono congelasse tutto. I
clienti seduti ai tavoloni di legno restano immobili, uno con un bicchiere di
vino in alto, nell’atto di fare un brindisi. L’anziana cameriera col grembiule azzurro
resta impalata in piedi, con in mano una brocca. L’oste, dietro al bancone, sta
asciugando un bicchiere con lo strofinaccio, ma si blocca anche lui. Tutti sono
girati verso Mario, e lo fissano in silenzio.
− Ehm... Buonasera!
− Buonasera! − risponde dopo un po’
l’oste. Poggia bicchiere e strofinaccio, sbuca da dietro il bancone e si
avvicina, lisciandosi i baffi grigi. Tutti gli altri restano immobili.
− Venga, venga qui. Avrà fame, no?
− Sì, ma non mi posso trattenere. Però
un crodino me lo farei volentieri, invece.
− Eh già, un crodino... Beh? Voi che
fate? Vi siete incantati? Che c’è, Alfre’? Non hai mai visto un nuovo cliente?
Alfredo, quello che aveva interrotto il
brindisi, un anziano corpulento in canottiera, scoppia a ridere, e tutti gli
altri lo seguono.
− Rosa, datti una mossa, cosa aspetti? La
pasta e fagioli non si prepara da sola!
Mario si appoggia al bancone di legno. L’oste
prende una bottiglia, fa scattare il tappo meccanico, e gli versa un bicchiere.
− Cos’è?
− Vino. Beh, una specie... Lo faccio io.
Lo provi. Comunque qui, a parte l’acqua, abbiamo solo questo.
Sembra un comune vino bianco un po’ annacquato.
Però è frizzantino, e Mario lo beve.
− Eh, eh! Gli piace, gli piace! − fa l’oste
strizzando l’occhio alla compagnia.
− Ah, bene! − risponde Alfredo. − Se gli
piace la tua broda, stiamo a posto. È un buon inizio!
− È un bel ragazzo, no? − commenta una
donna grassa, seduta a tavola con una giovane dai capelli biondi. La ragazza ridacchia
e si copre il viso.
Mario sorride, più che altro per
educazione, dato che in quel locale gli sembrano tutti matti. Poi chiede:
− Come faccio ad andar via di qui?
Un boato di risate si alza dai tavoloni
di legno. Mario cerca di non farci caso, e prosegue:
− Quelle macchine sulle strada, la Golf,
la Renault 5 e le altre... Si possono spostare?
− Amico mio, − risponde l’oste, − anche
se si potessero spostare, la strada finisce dieci metri più in là.
− E... e allora, come si fa a uscire di
qui?
− Eh, caro mio... Se lo sapessi... non
sarei bloccato qui da quarant’anni!
− Eh, eh, eh... Molto spiritoso. Ma io
ho un appuntamento, e...
− Non sto scherzando: non c’è via d’uscita,
purtroppo. Non si può andar via da qui. Tutti noi, tutti quelli che vedi qui, ci
siamo arrivati allo stesso modo, proprio come ci sei arrivato tu. E non siamo
più potuti andar via.
− Sta scherzando! − Mario si guarda intorno.
Una quindicina di sguardi tristi e rassegnati lo sta fissando.
− Purtroppo no, caro, − fa Rosa,
asciugandosi le mani sul grembiule: non è azzurro, ma blu a pois bianchi. − Io
e mio marito, − indica l’oste, − siamo finiti qui per sbaglio con la nostra
Cinquecento quarantatre anni fa, mentre andavamo a un matrimonio. Abbiamo
sbagliato strada e... Eccoci qui.
− Io sono qui da quasi trent’anni! − si
vanta Alfredo.
− Io da diciannove! Io da venticinque! −
dichiarano altri.
− Io ci sono nata, qui, − dice la
biondina.
− Io sono qui da otto anni, e, prima che
arrivassi tu, ero l’ultimo arrivato, − dice un uomo magro, dai lunghi capelli
scuri. − Sono quello della Golf. Ti dico subito che non è possibile risalire la
strada a marcia indietro, e nemmeno a piedi. Io ci ho provato tante volte, l’ultima
volta in piena estate, sperando che il fango si fosse seccato. Niente da fare:
si scivola, non si riesce a risalire. Ho dovuto lasciare moglie e figli, nel
mondo normale, oltre al mio lavoro, naturalmente. Nessuno sa più niente di me
da otto anni. Ma mi sono dovuto rassegnare, e adattarmi a vivere qui. Ci siamo
tutti dovuti rassegnare.
− Ok, non si può risalire la strada. Ma
qui intorno? A piedi? Da qualche parte si potrà arrivare!
− Dietro la casa colonica c’è il nostro
campo, l’orto, la vigna... Ma poi non si va oltre. I rovi sono troppo fitti, in ogni
stagione. Ho provato anche col fuoco, ma è un tipo di vegetazione resistente e umida: non c'è niente da fare. Siamo circondati. Siamo bloccati qui. Ed è inutile che ti dica che qui
non abbiamo il telefono, anche se, stranamente, c’è l’acqua e c’è anche la
corrente, e che il cellulare non prende.
− Mario tira fuori il suo smartphone per
controllare, suscitando la curiosità dell’oste.
− Cos’è? Un’agenda?
− No, è un computer palmare, − risponde
l’uomo della Golf. − Quelli moderni fanno anche le telefonate.
− Dove lo mettiamo? − chiede ad alta
voce Alfredo, indicando Mario.
− Nell’appartamento di Ottavio, −
risponde qualcuno. − Da quando è morto è rimasto libero.
− Decano? Lei è d’accordo?
Un vecchissimo signore seduto su una
sedia di paglia in disparte, col bastone tra le ginocchia, fa un cenno di
assenso.
− Bene. Ma che gli facciamo fare?
− Non lo so, lui che sa fare?
− Tu che sai fare, ragazzo?
− Sai cucire e filare? − chiede,
speranzosa, la grassona.
Mario spegne e riaccende lo smartphone,
lo spegne e lo riaccende ancora, sperando in un miracolo...
− Ragazzo, dicono a te, − l’oste lo
tocca su una spalla. − Qui non si spreca niente e tutti devono dare una mano. Tu,
che mestiere fai?
− Eh? Io faccio il system manager.
− Eh?
− Faccio funzionare le reti di computer.
− Lavorerà con me, − dichiara l’oste
alla comunità. − Ci darà una mano al campo, alla vigna e all’orto.
− Ma non dite sciocchezze! − risponde
Mario, guardandosi intorno. − Non penserete che io rimanga qui con voi. Io me
ne vado!
− È giusto, − fa l’uomo della Golf. − Deve
provarci. Deve rendersi conto da solo. Anch’io ci ho messo un bel po’, ve lo
ricordate?
Mario si guarda intorno. Ora lo nota:
tutti indossano abiti rattoppati o di fattura grossolana.
Matti. Sono tutti matti. Esce a passi
veloci. È buio, ma prova a incamminarsi per la stradina in salita. Presto si
ritrova ad arrancare a quattro zampe. Si aggrappa a un fusto per non scivolare
indietro, ma si punge la mano. Ridiscende con cautela. Fa il giro degli
edifici. Attraversa una piccola radura: al buio non distingue bene, ma
probabilmente è lì che c’è la vigna di cui parlavano. In fondo alla radura
ricomincia la vegetazione. Mario prova a entrare tra i rovi, ma si punge nuovamente
le mani e il volto, i vestiti si lacerano, e non riesce a passare. E poi è
troppo buio.
Non è possibile! A quest’ora la
proiezione sarà finita, e Claudia mi avrà dato per disperso. Non posso farci niente.
La notte dovrò passarla qui. Ma domani troverò una via d’uscita! Non può essere
davvero così!
− Dov’é? − chiede l’oste.
− È salito in macchina, − risponde l’uomo
della Golf. − Credo che voglia passare la notte lì.
− Avrà fame. Chissà se gli va un po’ di
pasta e fagioli. − dice Rosa.
− Non sarà il caso di portargli una
coperta, invece? − chiede la biondina.
− Lasciatelo stare, − dice l’uomo della
Golf. − Tanto ormai è dei nostri. Ma lui ancora non lo sa.
Sempre per la serie "le cose strane che capitano nei dintorni di Roma"... ho appena finito di leggere GRA ;)
RispondiEliminaWOW! Spero che ti sia piaciuto! Devi farmi avere qualche commento, perché adesso non sto più nella pelle! :D
RispondiEliminaSi,si. Era mia intenzione mandarti una recensione, ho scritto qualche appunto mentre leggevo e adesso devo solo reuperare il foglietto e trascriverlo "in bella".
EliminaComunque sì, mi è piaciuto! Dovrei chiederti di autografarmi il libro, ma visto che è un e-book va bene anche una firma elettronica. :D
Nelle attuali quotazioni se di miei autografi ne hai circa un milione forse te ne danno in cambio uno di Stephen King
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