Con la partecipazione della più celebre coppia di Hollywood in veste di mascotte.

domenica 2 aprile 2017

Il Testamento spirituale di Serafino Pepe

Ebbene sì, oggi parliamo di filosofia, con una recensione che non è una recensione, anzi è più di una recensione. Poiché non solo io sono uno dei pochi fortunati possessori dell'edizione originale de Il Testamento Spirituale di Serafino Pepe (libro che qualcuno evidentemente voleva e vorrebbe ancora fosse dimenticato, ma che grazie al passaparola e ai blogger di uno zoccolo duro è oggi più vivo che mai) ma ho anche conosciuto di persona Don Michele Fugardi, che di S.P. è stato confessore e confidente, mi inserisco anch'io (e, oserei dire, con una certa autorità) sulla scia di quei giornalisti e blogger che negli ultimi anni hanno cercato (invano, ma non per questo meno meritoriamente) di ridare visibilità ad uno dei più originali pensatori dell'inizio di questo secolo. Lo farò, iniziando da oggi, con una serie di post in cui ripercorro in forma narrativa la strana storia di questo libro noto eppure misconosciuto, e coglierò l'occasione per pubblicarne numerosi stralci (in particolare oggi ne pubblico l'incipit, con la celebre allegoria della strada e della corda di canapa). La speranza è sempre quella che, prima o poi, chi è in possesso dei diritti, si convinca a ripubblicare il libro, possibilmente completo della parte rimasta ancora inedita.




IL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SERAFINO PEPE

di Gianluca Gemelli



Il giorno che Serafino Pepe, sentendo che la morte era vicina, chiamò sua moglie e le chiese di prendere carta − molta carta − e penna, perché voleva far testamento, la signora Vanna fu stupita. Non perché non si aspettasse che suo marito potesse pensare alla morte: aveva ottantanove anni, era allettato da quasi un mese e ormai non le riusciva di fargli mangiare più neanche quei pochi cucchiai di minestra. Ma perché Don Serafino non aveva beni da lasciare in eredità a nessuno.
− Ohè, Serafi’, ma che te lu si’ scurdato che della casa tieni solo la nuda proprietà? Noialtri nun tenemo proprio gnente più da lassa’ a nisciuno. Che testamento voi fa’, tu?
− Come allo solito non sì capito gnente, donna. Lo mio è nu testamento spirituale, te lo so’ dittu! Spirituale. Sì capito, mo?
− Ah, ecco. Mo sì che te so’ capito...
La signora Vanna, che in realtà non aveva per nulla capito cosa volesse suo marito, andò in corridoio, − a casa di Serafino Pepe il telefono era ancora su un tavolino nel corridoio, sopra un vecchio centrino ingiallito, − e compose il numero di Don Michele, il parroco.
− Che c’è, sora Vanna? È arrivato il momento? Se ne sta pe’ anda’?
Don Michele era anziano, e dentro di sé si sentiva ancora più anziano di quanto non fosse, tanto che in parrocchia si considerava esentato quasi da ogni fatica materiale, che lasciava volentieri ai religiosi più giovani. Non voleva perciò scomodarsi se non vi era una più che ragionevole certezza che il momento fosse quello giusto. In fondo era già stato a casa di Don Serafino la domenica precedente, per confessarlo e dargli la comunione, e già che c’era gli aveva dato anche l’estrema unzione, per cui non vedeva motivi per affrettarsi.
− Non lo so, penzo che sì, ma il fatto è che lui mi ha chiesto una cosa strana, Don Miche’. Vuole carta e penna, molta carta. Dice che mi vuole detta’ il testamento.
− Beh, è pure ‘na cosa normale.
− Ma lui non lo vuole un testamento normale: lui vuole un testamento spirituale. Ma io non lo saccio che d’è ‘sta cosa. Voi lo sapete, Don Miche’?
− Un testamento spirituale? − rise il parroco. − Secondo me hai capito male.
− No, no. Me lo ha detto e me lo ha pure ripetuto. Che poi io manco so’ tanto brava a scrive’... Non la so fa’ ‘sta cosa. Voi la sapete fa’?
− Ascolta, un testamento spirituale non è un testamento, è un... È quando un... Insomma, non è roba pe’ voialtri. Sei sicura che non voglia fare un normale testamento?
− Don Miche’, voi lo sapete, noi un figlio lo tenemo in Australia, uno in Irlanda e uno a Milano, e nessuno è interessato alle cose di qua. E poi la casa e l’orto non sono manco più li nostri: con la penzione non ce la facevamo, e allora avèmo ceduto la nuda proprietà. Che testamento deve fa’, Serafino? Io glielo so’ pure detto: che testamento vo’ fa’, tu, che non tenemo più gnente? E lui: un testamento spi-ri-tu-a-le!
Don Michele era divertito e anche un po’ incuriosito. Un testamento spirituale, ammesso che Serafino Pepe sapesse cos’era, era roba per artisti e filosofi, che vogliono lasciare ai posteri una traccia più compiuta del loro pensiero.
Il vecchio Serafino Pepe... Qualcuno di voi, transitando sulla statale 216, forse l’avrà anche visto con la coda dell’occhio, senza notarlo, mentre se ne stava seduto su una pietra miliare a sbucciarsi una mela con il coltellino svizzero, prima ancora che nel bel ritratto fotografico presente sulla copertina del libro pubblicato da Adelphi (che però secondo qualcuno non ritrae davvero Serafino Pepe, ma un modello che gli somiglia). Il vecchio Serafino Pepe, dicevo, da molti anni aveva smesso di lavorare, ma era pur sempre un contadino, figlio di contadini e nipote di contadini. Certo, gli si doveva riconoscere un aspetto fiero e saggio, cosa che, assieme all’età avanzata, gli aveva garantito in paese un certo rispetto e una certa deferenza. Era per questo che tutti lo chiamavano Don Serafino. Ma il parroco faticava a ricordare una qualsiasi circostanza in cui Serafino avesse detto qualcosa. Quante parole in tutto gli aveva sentito pronunciare? Buonasera, sì, no, amèn... E poi? Oh, sì, Donna Vanna parlava eccome, lei non si fermava mai. Ma Serafino, per come se lo ricordava lui, taceva e basta, con l’aria di sopportare tutto in silenzio.
Un vecchio di poche parole, anzi, forse proprio nessuna, come dovevano essere stati suo padre, suo nonno, ecc...
Ce l’aveva la terza media, Serafino Pepe? E quanti libri poteva aver letto in vita sua, dopo aver terminato la scuola? E ora, in punto di morte, voleva carta, anzi molta carta, e penna, e voleva dettare un testamento spirituale? Beh, se era vero, valeva la pena di dargli una mano. Per cui il vecchio parroco si alzò dalla poltrona, infilò nella sua valigetta un quaderno a righe che stava sullo scrittoio, quello che poi sarebbe diventato noto come il Quaderno blu, si mise il cappotto, il cappello, la sciarpa e uscì. Non immaginava di certo che quel giorno e nei tre seguenti − il periodo che in un famoso articolo comparso su Repubblica a firma Mario Pascali è chiamato semplicemente i quattro giorni di Serafino Pepe − sarebbe stato testimone di un evento straordinario.

Quando Don Michele Fugardi si trovò di fronte al moribondo, si stupì di trovarlo così sereno e in pace con sé stesso.
− Ciao, Serafi’! Mi hai mandato a chiamare?
− Sì, Don Miche’. Hai portato carta e penna?
− Ecco qua! − fece il parroco, mostrando il quaderno.
− Bene. Mo scrivice questo: Testamento spirituale di Serafino Pepe, destinato a tutta l’umanità.
− Ah. Vuoi davvero che...
− Sbrighete, Don Miche’!
− E vabbè...
− Capitolo Primo: Dio, lu mondo e li cristiani. Quanno che ci rizziamo e ci mettemo a caminà...

Iniziamo a camminare lungo la strada della vita, e abbiamo dei compagni di viaggio, la maggior parte dei quali è in cammino da molto più tempo di noi. Ogni tanto qualcuno si ferma, si toglie dalla strada e dice “Io mi fermo qui, continuate voi”. Vorremmo che proseguissero con noi, ma non è possibile: sono troppo stanchi. Ogni tanto invece qualcuno arriva e incomincia a camminare con noi, dice “Salve, sono arrivato anch’io, è per di qui che si va?”. Cammina, cammina, se ci voltiamo indietro vediamo i nostri vecchi compagni di viaggio, genitori, nonni, amici, seduti sul bordo della strada. Cammina, cammina, arriviamo al punto in cui dobbiamo salutare tutti e fermarci lì dove siamo, toglierci anche noi dalla strada e sederci lì, anche se vorremmo proseguire con gli altri. Ma dove vanno, tutti? Dove stiamo andando? Perché camminiamo tutti insieme lungo questa strada? Dove condurrà l’uomo, questa strada?
 Intanto è chiaro che la strada conduce da qualche parte. Essa conduce alla fine dei tempi. Inoltre la strada parte da qualche parte. Parte dall’inizio dei tempi. Tutte le strade infatti hanno un punto di partenza e un punto di arrivo, quindi da questo si capisce che i tempi hanno un inizio e una fine. Cosa c’era all’inizio dei tempi? Cosa troverà l’ultimo uomo alla fine dei tempi? All’inizio dei tempi c’era qualcosa o qualcuno che ha messo l’uomo su questa strada e ha detto: “Cammina, e vedi di arrivare alla fine”. Alla fine dei tempi ci sarà qualcosa o qualcuno che ha bisogno di trovare lì l’uomo, e per un buon motivo.
Questo qualcosa, questa necessità, fa la storia, e la vita di una persona e della sua famiglia sono solo i fili di paglia nella corda della storia, questa corda che unisce l’inizio e la fine: ogni filo è piccolo e stretto, e invece la corda è lunga e spessa. A volte molti fili si strappano e si spezzano, ma la corda non viene mai tagliata. Di solito infatti i fili iniziano e finiscono dove devono iniziare e finire, perché è quella la lunghezza che hanno. Ogni filo è una vita, una vita che ha due estremità, cioè un inizio e una fine, ma che, come quel filo, è tutta intera. Non esiste un filo fatto solo da un pezzetto di polvere, ogni filo lo puoi tenere in mano nella sua completezza, da un capo all’altro. Se io ora soffro per la vecchiaia e per malattia, e sto vivendo la seconda estremità del filo, non significa che abbia smesso di vivere il resto della mia vita. Tutto il resto della mia vita c’è ancora, e nessuno me lo potrà mai togliere.
Questa corda scorre sempre in avanti, e tutti noi ne vediamo solo una parte, ma i fili che non si vedono più ci sono ancora, non sono scomparsi, altrimenti la corda non potrebbe esistere. I nostri vecchi compagni di viaggio, parenti e amici che sono morti prima di noi, sono qui con noi per sempre come parte dell’umanità tutta intera. La loro vita sta lì, assieme alla nostra, in questo cordone collettivo.
Vogliamo vivere, dobbiamo vivere. Vogliamo metter su famiglia, dobbiamo metter su famiglia. E tutto questo lo condividiamo con gli animali e con le piante, anche se le piante non mettono su famiglia. Che cos’è che ci costringe a camminare, e perché siamo costretti a camminare verso la fine dei tempi, cioè a tirare su questa corda che noi formiamo con le nostre vite? Siamo stati tutti fatti così, dobbiamo camminare, vogliamo camminare. Evidentemente arrivare alla fine dei tempi è importante per tutti, sia per chi ci ha costretto a metterci in cammino, sia per noi. Che sia importante per chi ci ha messo su questa strada si capisce dal fatto che ci ha dato l’obbligo di camminare. Che sia importante anche per noi è la nostra speranza.

Don Michele si trovò così travolto da un fiume di allegorie poetiche e idee allo stesso tempo semplici e profonde, molte delle quali sono ormai diventate comuni, ma che quindici anni fa nessuno conosceva. Erano idee evidentemente maturate in anni di riflessione, e rivelate con la furia di chi non ha il tempo dalla sua parte, in forma straordinariamente compiuta anche se in un italiano imperfetto e vernacolare. Il parroco raccontò che Serafino andò avanti per quasi quattro ore quel giorno, prima di accasciarsi stremato, e di rimandare al giorno seguente la prosecuzione del lavoro. Don Michele non aveva avuto modo di rendersi conto di nulla, tanta era la foga, la sicurezza e la velocità con cui Serafino dettava le sue riflessioni. Solo dopo, nella quiete della sua stanza, quando si era messo a rileggere le pagine manoscritte, si era reso conto dell’enormità di quel che aveva in mano. Immediatamente aveva iniziato a trascrivere il tutto in bella copia, a correggere la sintassi e a eliminare il dialetto. Gli sembravano le parole di un profeta! Decise di telefonare al vescovo, Don Remigio Altieri, per informarlo di quel che stava accadendo. Il vescovo, raccontava Don Michele, inizialmente era spazientito, ma quando gli aveva letto per telefono alcuni brani, era invece rimasto profondamente colpito.
L’operazione proseguì nei giorni successivi, con Serafino che dettava e il parroco che scriveva, finché il quarto giorno, Serafino, subito dopo aver concluso la sua fatica, chiuse gli occhi e spirò.

Naturalmente alla morte di Serafino, Don Michele aveva con sé sia il testo del Quaderno blu, originale e completo, che la sua trascrizione, tranne quella del quarto e ultimo giorno. Il testo di quest’ultimo non poté trascriverlo perché, come raccontava, quella sera stessa un incaricato del vescovo gli ordinò di consegnarglielo. Com’è noto, qui si perdono le tracce di quel documento unico e prezioso, infatti Don Remigio Altieri in seguito affermò di non aver inviato nessun incaricato, e anche successivamente la curia ha sempre negato di esserne in possesso. Don Michele ora aveva in mano solo la sua trascrizione del dettato dei primi tre giorni, quella che poi fu pubblicata da Adelphi dodici anni fa, e mai ristampata. Nessuno ha dati sicuri in proposito, ma è probabile che la tiratura prevista fosse di almeno 15000 copie, dato che Don Michele ricordava di aver fatto un’offerta di ben 5000 euro ai Padri Comboniani, per contribuire al finanziamento della costruzione di un ospedale in Uganda.

Come molti sapranno, per ragioni che non sono mai state chiarite, l’editore ha poi sospeso la pubblicazione, per cui si calcola che siano state vendute meno di mille copie.  Ciononostante il libricino ha conquistato i pochi fortunati lettori e il Testamento in breve è diventato una specie di cult, inizialmente diffuso per mezzo di fascicoli fotocopiati e poi su internet. Stando a quanto si diceva in giro pochi anni fa, brani del libro avevano iniziato anche ad esser letti nelle scuole, per iniziativa di singoli docenti di filosofia. Era il momento in cui sembrava che a breve tutti avrebbero conosciuto l’opera di Serafino Pepe, quando estratti, racconti e commenti hanno cominciato a comparire sulla stampa nazionale. Purtroppo, come detto, questo breve e inaspettato successo sotterraneo e mediatico non ha dato seguito a nessuna riedizione ufficiale, e il Testamento è e rimane il patrimonio esclusivo di un piccolo zoccolo duro di appassionati.

I titoli con cui oggi sono conosciuti i tre capitoli del Testamento, uno per giorno, sono:

I. L’universo, l’umanità e Dio.
II. Il bene, il male, la società.
II. La vita, la morte, l’umanità.

Il quarto capitolo, purtroppo, è rimasto segreto, perché Don Michele, come detto, non l’ha mai trascritto, e perché inoltre si è sempre rifiutato di ricostruirlo a memoria.
Pochi anni fa, poco prima che morisse, gli chiesi se ricordasse quale fosse il contenuto della famosa giornata perduta.
− Certo che sì! − fu la risposta.
Gli domandai allora perché non avesse mai voluto rivelare quale fosse.
− Vedi, qualcuno di molto importante ha deciso che era meglio non mandare in giro quella roba, e l’ha fatta sparire, e allora chi sono io per dire che i capoccioni si stanno sbagliando?
− Ma la curia ha sempre negato di aver...
− Avranno i loro motivi, se sono stati loro. Però io ho sempre detto la verità: l’ho consegnato a un inviato del vescovo, anche se poi ho dimenticato come si chiamava questa persona, o forse non me l’ha nemmeno detto. Non ne ho le prove, ma sono convinto che il manoscritto ce l’hanno loro. E sempre da lì che mi è arrivato il beneplacito di pubblicare i primi tre capitoli, ed era proprio specificato di pubblicare quelli. Da parte mia, io la cosa l’ho interpretata come un divieto di parlare del contenuto della quarta giornata.
− E tu concordi con questa decisione che viene dall’alto?
− Che devo dire? Se dipendesse da me probabilmente parlerei: direi quel che mi ricordo. Non mi piace questo lato della Chiesa fatto di misteri, segreti e messaggi... Ma forse hanno ragione loro, forse è davvero meglio così.
− Ma perché? È così diversa la quarta giornata? È così importante?
− Beh, sì. Altrimenti sarebbe andata in stampa tranquillamente anche quella.
− Ma che cos’ha di diverso?
− Non te lo posso dire.
− È contraria alla religione cattolica?
− Assolutamente no. Non parla affatto del Cristianesimo. Serafino Pepe non mi ha mai parlato di Gesù, di Dio o della Bibbia. Anche se per me è ovvio che l’ispirazione per le sue riflessioni gli è venuta da Dio.

Sulla stampa si è scritto anche del rapporto tra Don Michele e il pensiero di Serafino Pepe come oggi lo conosciamo. La parte avuta dall’anziano prete nella realizzazione del testo, è stata puramente passiva? Don Michele, cioè, ha davvero solo riportato fedelmente le parole del moribondo? Oppure le ha integrate con suoi pensieri originali?
Per sua stessa ammissione Don Michele revisionò il testo, nella forma e nella scelta dei vocaboli, poiché ovviamente Serafino Pepe parlava in dialetto e non usava di suo una terminologia tanto articolata e precisa, oltre che politicamente corretta. Ma da qui a dire, come ha fatto qualcuno, in modo davvero troppo semplicistico, che il Testamento sia stato interamente prodotto dell’ingegno di Don Michele Fugardi ce ne passa.

Io Don Michele l’ho conosciuto, perché nel 2008 fu trasferito nella mia parrocchia, e francamente non credo che possa essere stato in grado di concepire un’opera articolata e compiuta come il Testamento. Che avesse una cultura superiore a quella che si poteva attribuire a Serafino Pepe è fuor di dubbio, ma in ogni caso le sue doti culturali e intellettuali non erano fuori dal comune. Se devo credere a un fatto straordinario e miracoloso, e nel caso de il Testamento ciò è certamente necessario, non faccio più fatica a credere che il miracolo si sia prodotto nella mente di un vecchio contadino taciturno, che, evidentemente, per tutta la sua vita, mentre taceva pensava, piuttosto che in quella di un vecchio prete impigrito.  In ogni caso, le cose stanno così: Don Michele mi regalò una copia dell’edizione originale del Testamento. Ebbene sì: io sono uno di quei pochissimi fortunati che possono leggere il testo delle tre giornate nella versione originale e integrale. Cosa che, lo ammetto, anche se ero molto affezionato a Don Michele ed ero fiero del suo regalo,  non avevo ancora fatto fino a poche settimane fa. Così anch’io ci sono entrato, nello zoccolo duro dei fan di Serafino Pepe, proprio come Don Michele avrebbe voluto, anche se con qualche annetto di ritardo. 

A questo punto forse vi aspettate di leggere qui una recensione del Testamento. Ma la realtà dei fatti è che io l’ho trovato un libro poetico e illuminante, ma anche inquietante. Secondo me è vero che si tratta di un testo fondamentale dal punto di vista della storia del pensiero filosofico, e devo ammettere di non sentirmi affatto in grado di recensirlo. Però farò di più: nelle prossime settimane, sempre in una cornice narrativa, pubblicherò alcuni stralci del testo integrale, sia dei brani più noti, che però chi ha già pubblicato su internet ha quasi sempre stravolto, chissà se volontariamente o no, che di altrettanti brani meno noti. Così potremo leggerli e commentarli insieme, e mi sentirò meno a disagio a parlarne.

Trattandosi di un testo protetto da copyright, anche se non più stampato da anni, non posso certo riprodurlo integralmente, e spero che Adelphi non si risenta troppo per questa operazione di recupero parziale. In fondo se il libro non è più in vendita non faccio un torto a nessuno a pubblicarne qualche stralcio, cosa che oltretutto hanno già fatto numerosi blogger, e in modo a dir poco trasandato. Resta inteso che nel caso l’editore o altri soggetti eventualmente in possesso dei diritti di riproduzione mi contattassero richiedendo la rimozione dei brani in questione, provvederei immediatamente.

Arrivederci al prossimo episodio di questo progetto!

4 commenti:

  1. E'molto interessante e intrigante,BRAVO ...OK...

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  2. Chissà chi è il "proprietario" dei diritti su questo libro? Possibile che possa trattare argomenti così scomodi per la chiesa al punto di volerlo quasi censurare?
    Interrogativi a parte, complimenti per questa idea di recuperare e riproporre in versione narrata alcuni brani.

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  3. tanti auguri di una splendida Pasqua, prof, :D

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