Ebbene sì, oggi parliamo di filosofia, con una recensione che non è una recensione, anzi è più di una recensione. Poiché non solo io sono uno dei pochi fortunati possessori dell'edizione originale de Il Testamento Spirituale di Serafino Pepe (libro che qualcuno evidentemente voleva e vorrebbe ancora fosse dimenticato, ma che grazie al passaparola e ai blogger di uno zoccolo duro è oggi più vivo che mai) ma ho anche conosciuto di persona Don Michele Fugardi, che di S.P. è stato confessore e confidente, mi inserisco anch'io (e, oserei dire, con una certa autorità) sulla scia di quei giornalisti e blogger che negli ultimi anni hanno cercato (invano, ma non per questo meno meritoriamente) di ridare visibilità ad uno dei più originali pensatori dell'inizio di questo secolo. Lo farò, iniziando da oggi, con una serie di post in cui ripercorro in forma narrativa la strana storia di questo libro noto eppure misconosciuto, e coglierò l'occasione per pubblicarne numerosi stralci (in particolare oggi ne pubblico l'incipit, con la celebre allegoria della strada e della corda di canapa). La speranza è sempre quella che, prima o poi, chi è in possesso dei diritti, si convinca a ripubblicare il libro, possibilmente completo della parte rimasta ancora inedita.
IL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SERAFINO PEPE
di Gianluca Gemelli
Il giorno che Serafino Pepe, sentendo
che la morte era vicina, chiamò sua moglie e le chiese di prendere carta −
molta carta − e penna, perché voleva far testamento, la signora Vanna fu
stupita. Non perché non si aspettasse che suo marito potesse pensare alla
morte: aveva ottantanove anni, era allettato da quasi un mese e ormai non le riusciva
di fargli mangiare più neanche quei pochi cucchiai di minestra. Ma perché Don
Serafino non aveva beni da lasciare in eredità a nessuno.
− Ohè, Serafi’, ma che te lu si’ scurdato
che della casa tieni solo la nuda proprietà? Noialtri nun tenemo proprio gnente
più da lassa’ a nisciuno. Che testamento voi fa’, tu?
− Come allo solito non sì capito gnente,
donna. Lo mio è nu testamento spirituale, te lo so’ dittu! Spirituale. Sì capito, mo?
− Ah, ecco. Mo sì che te so’ capito...
La signora Vanna, che in realtà non
aveva per nulla capito cosa volesse suo marito, andò in corridoio, − a casa di
Serafino Pepe il telefono era ancora su un tavolino nel corridoio, sopra un
vecchio centrino ingiallito, − e compose il numero di Don Michele, il parroco.
− Che c’è, sora Vanna? È arrivato il
momento? Se ne sta pe’ anda’?
Don Michele era anziano, e dentro di sé
si sentiva ancora più anziano di quanto non fosse, tanto che in parrocchia si considerava
esentato quasi da ogni fatica materiale, che lasciava volentieri ai religiosi
più giovani. Non voleva perciò scomodarsi se non vi era una più che ragionevole
certezza che il momento fosse quello giusto. In fondo era già stato a casa di
Don Serafino la domenica precedente, per confessarlo e dargli la comunione, e
già che c’era gli aveva dato anche l’estrema unzione, per cui non vedeva motivi
per affrettarsi.
− Non lo so, penzo che sì, ma il fatto è
che lui mi ha chiesto una cosa strana, Don Miche’. Vuole carta e penna, molta carta.
Dice che mi vuole detta’ il testamento.
− Beh, è pure ‘na cosa normale.
− Ma lui non lo vuole un testamento
normale: lui vuole un testamento spirituale.
Ma io non lo saccio che d’è ‘sta cosa. Voi lo sapete, Don Miche’?
− Un testamento spirituale? − rise il
parroco. − Secondo me hai capito male.
− No, no. Me lo ha detto e me lo ha pure
ripetuto. Che poi io manco so’ tanto brava a scrive’... Non la so fa’ ‘sta
cosa. Voi la sapete fa’?
− Ascolta, un testamento spirituale non
è un testamento, è un... È quando un... Insomma, non è roba pe’ voialtri. Sei
sicura che non voglia fare un normale testamento?
− Don Miche’, voi lo sapete, noi un
figlio lo tenemo in Australia, uno in Irlanda e uno a Milano, e nessuno è
interessato alle cose di qua. E poi la casa e l’orto non sono manco più li nostri:
con la penzione non ce la facevamo, e allora avèmo ceduto la nuda proprietà.
Che testamento deve fa’, Serafino? Io glielo so’ pure detto: che testamento vo’
fa’, tu, che non tenemo più gnente? E lui: un testamento spi-ri-tu-a-le!
Don Michele era divertito e anche un po’
incuriosito. Un testamento spirituale, ammesso che Serafino Pepe sapesse
cos’era, era roba per artisti e filosofi, che vogliono lasciare ai posteri una
traccia più compiuta del loro pensiero.
Il vecchio Serafino Pepe... Qualcuno di
voi, transitando sulla statale 216, forse l’avrà anche visto con la coda
dell’occhio, senza notarlo, mentre se ne stava seduto su una pietra miliare a
sbucciarsi una mela con il coltellino svizzero, prima ancora che nel bel
ritratto fotografico presente sulla copertina del libro pubblicato da Adelphi
(che però secondo qualcuno non ritrae davvero Serafino Pepe, ma un modello che
gli somiglia). Il vecchio Serafino Pepe, dicevo, da molti anni aveva smesso di
lavorare, ma era pur sempre un contadino, figlio di contadini e nipote di contadini.
Certo, gli si doveva riconoscere un aspetto fiero e saggio, cosa che, assieme
all’età avanzata, gli aveva garantito in paese un certo rispetto e una certa
deferenza. Era per questo che tutti lo chiamavano Don Serafino. Ma il parroco faticava a ricordare una qualsiasi
circostanza in cui Serafino avesse detto qualcosa. Quante parole in tutto gli
aveva sentito pronunciare? Buonasera, sì,
no, amèn... E poi? Oh, sì, Donna Vanna parlava eccome, lei non si fermava
mai. Ma Serafino, per come se lo ricordava lui, taceva e basta, con l’aria di
sopportare tutto in silenzio.
Un vecchio di poche parole, anzi, forse
proprio nessuna, come dovevano essere stati suo padre, suo nonno, ecc...
Ce l’aveva la terza media, Serafino Pepe?
E quanti libri poteva aver letto in vita sua, dopo aver terminato la scuola? E
ora, in punto di morte, voleva carta, anzi molta carta, e penna, e voleva
dettare un testamento spirituale? Beh, se era vero, valeva la pena di dargli
una mano. Per cui il vecchio parroco si alzò dalla poltrona, infilò nella sua
valigetta un quaderno a righe che stava sullo scrittoio, quello che poi sarebbe
diventato noto come il Quaderno blu, si
mise il cappotto, il cappello, la sciarpa e uscì. Non immaginava di certo che quel
giorno e nei tre seguenti − il periodo che in un famoso articolo comparso su Repubblica a firma Mario Pascali è
chiamato semplicemente i quattro giorni
di Serafino Pepe − sarebbe stato testimone di un evento straordinario.
Quando Don Michele Fugardi si trovò di
fronte al moribondo, si stupì di trovarlo così sereno e in pace con sé stesso.
− Ciao, Serafi’! Mi hai mandato a
chiamare?
− Sì, Don Miche’. Hai portato carta e
penna?
− Ecco qua! − fece il parroco, mostrando
il quaderno.
− Bene. Mo scrivice questo: Testamento
spirituale di Serafino Pepe, destinato a tutta l’umanità.
− Ah. Vuoi davvero che...
− Sbrighete, Don Miche’!
− E vabbè...
− Capitolo Primo: Dio, lu mondo e li
cristiani. Quanno che ci rizziamo e ci mettemo a caminà...
Iniziamo
a camminare lungo la strada della vita, e abbiamo dei compagni di viaggio, la
maggior parte dei quali è in cammino da molto più tempo di noi. Ogni tanto
qualcuno si ferma, si toglie dalla strada e dice “Io mi fermo qui, continuate
voi”. Vorremmo che proseguissero con noi, ma non è possibile: sono troppo
stanchi. Ogni tanto invece qualcuno arriva e incomincia a camminare con noi,
dice “Salve, sono arrivato anch’io, è per di qui che si va?”. Cammina, cammina,
se ci voltiamo indietro vediamo i nostri vecchi compagni di viaggio, genitori,
nonni, amici, seduti sul bordo della strada. Cammina, cammina, arriviamo al
punto in cui dobbiamo salutare tutti e fermarci lì dove siamo, toglierci anche
noi dalla strada e sederci lì, anche se vorremmo proseguire con gli altri. Ma dove
vanno, tutti? Dove stiamo andando? Perché camminiamo tutti insieme lungo questa
strada? Dove condurrà l’uomo, questa strada?
Intanto è chiaro che la strada conduce da
qualche parte. Essa conduce alla fine dei tempi. Inoltre la strada parte da
qualche parte. Parte dall’inizio dei tempi. Tutte le strade infatti hanno un
punto di partenza e un punto di arrivo, quindi da questo si capisce che i tempi
hanno un inizio e una fine. Cosa c’era all’inizio dei tempi? Cosa troverà l’ultimo
uomo alla fine dei tempi? All’inizio dei tempi c’era qualcosa o qualcuno che ha
messo l’uomo su questa strada e ha detto: “Cammina, e vedi di arrivare alla
fine”. Alla fine dei tempi ci sarà qualcosa o qualcuno che ha bisogno di
trovare lì l’uomo, e per un buon motivo.
Questo
qualcosa, questa necessità, fa la storia, e la vita di una persona e della sua
famiglia sono solo i fili di paglia nella corda della storia, questa corda che
unisce l’inizio e la fine: ogni filo è piccolo e stretto, e invece la corda è
lunga e spessa. A volte molti fili si strappano e si spezzano, ma la corda non
viene mai tagliata. Di solito infatti i fili iniziano e finiscono dove devono
iniziare e finire, perché è quella la lunghezza che hanno. Ogni filo è una
vita, una vita che ha due estremità, cioè un inizio e una fine, ma che, come
quel filo, è tutta intera. Non esiste un filo fatto solo da un pezzetto di
polvere, ogni filo lo puoi tenere in mano nella sua completezza, da un capo all’altro.
Se io ora soffro per la vecchiaia e per malattia, e sto vivendo la seconda
estremità del filo, non significa che abbia smesso di vivere il resto della mia
vita. Tutto il resto della mia vita c’è ancora, e nessuno me lo potrà mai
togliere.
Questa
corda scorre sempre in avanti, e tutti noi ne vediamo solo una parte, ma i fili
che non si vedono più ci sono ancora, non sono scomparsi, altrimenti la corda non
potrebbe esistere. I nostri vecchi compagni di viaggio, parenti e amici che
sono morti prima di noi, sono qui con noi per sempre come parte dell’umanità
tutta intera. La loro vita sta lì, assieme alla nostra, in questo cordone
collettivo.
Vogliamo
vivere, dobbiamo vivere. Vogliamo metter su famiglia, dobbiamo metter su
famiglia. E tutto questo lo condividiamo con gli animali e con le piante, anche
se le piante non mettono su famiglia. Che cos’è che ci costringe a camminare, e
perché siamo costretti a camminare verso la fine dei tempi, cioè a tirare su
questa corda che noi formiamo con le nostre vite? Siamo stati tutti fatti così,
dobbiamo camminare, vogliamo camminare. Evidentemente arrivare alla fine dei
tempi è importante per tutti, sia per chi ci ha costretto a metterci in
cammino, sia per noi. Che sia importante per chi ci ha messo su questa strada
si capisce dal fatto che ci ha dato l’obbligo di camminare. Che sia importante
anche per noi è la nostra speranza.
Don Michele si trovò così travolto da un fiume di allegorie poetiche e idee allo stesso tempo semplici e profonde, molte delle quali sono ormai diventate comuni, ma che
quindici anni fa nessuno conosceva. Erano idee evidentemente maturate
in anni di riflessione, e rivelate con la furia di chi non ha il tempo dalla
sua parte, in forma straordinariamente compiuta anche se in un italiano
imperfetto e vernacolare. Il parroco raccontò che Serafino andò avanti per
quasi quattro ore quel giorno, prima di accasciarsi stremato, e di rimandare al
giorno seguente la prosecuzione del lavoro. Don Michele non aveva avuto modo di
rendersi conto di nulla, tanta era la foga, la sicurezza e la velocità con cui
Serafino dettava le sue riflessioni. Solo dopo, nella quiete della sua stanza,
quando si era messo a rileggere le pagine manoscritte, si era reso conto dell’enormità
di quel che aveva in mano. Immediatamente aveva iniziato a trascrivere il tutto
in bella copia, a correggere la sintassi e a eliminare il dialetto. Gli
sembravano le parole di un profeta! Decise di telefonare al vescovo, Don
Remigio Altieri, per informarlo di quel che stava accadendo. Il vescovo,
raccontava Don Michele, inizialmente era spazientito, ma quando gli aveva letto
per telefono alcuni brani, era invece rimasto profondamente colpito.
L’operazione proseguì nei giorni
successivi, con Serafino che dettava e il parroco che scriveva, finché il
quarto giorno, Serafino, subito dopo aver concluso la sua fatica, chiuse gli
occhi e spirò.
Naturalmente alla morte di Serafino, Don
Michele aveva con sé sia il testo del Quaderno blu, originale e completo, che la
sua trascrizione, tranne quella del quarto e ultimo giorno. Il testo di
quest’ultimo non poté trascriverlo perché, come raccontava, quella sera stessa
un incaricato del vescovo gli ordinò di consegnarglielo. Com’è noto, qui si
perdono le tracce di quel documento unico e prezioso, infatti Don Remigio
Altieri in seguito affermò di non aver inviato nessun incaricato, e anche
successivamente la curia ha sempre negato di esserne in possesso. Don Michele
ora aveva in mano solo la sua trascrizione del dettato dei primi tre giorni,
quella che poi fu pubblicata da Adelphi dodici anni fa, e mai ristampata. Nessuno
ha dati sicuri in proposito, ma è probabile che la tiratura prevista fosse di almeno
15000 copie, dato che Don Michele ricordava di aver fatto un’offerta di ben
5000 euro ai Padri Comboniani, per contribuire al finanziamento della
costruzione di un ospedale in Uganda.
Come molti sapranno, per ragioni che non
sono mai state chiarite, l’editore ha poi sospeso la pubblicazione, per cui si
calcola che siano state vendute meno di mille copie. Ciononostante il libricino ha conquistato i pochi
fortunati lettori e il Testamento in
breve è diventato una specie di cult, inizialmente diffuso per mezzo di fascicoli
fotocopiati e poi su internet. Stando a quanto si diceva in giro pochi anni fa,
brani del libro avevano iniziato anche ad esser letti nelle scuole, per
iniziativa di singoli docenti di filosofia. Era il momento in cui sembrava che
a breve tutti avrebbero conosciuto l’opera di Serafino Pepe, quando estratti,
racconti e commenti hanno cominciato a comparire sulla stampa nazionale. Purtroppo,
come detto, questo breve e inaspettato successo sotterraneo e mediatico non ha dato
seguito a nessuna riedizione ufficiale, e il Testamento è e rimane il patrimonio
esclusivo di un piccolo zoccolo duro di appassionati.
I titoli con cui oggi sono conosciuti i tre capitoli del Testamento, uno per giorno, sono:
I. L’universo, l’umanità e Dio.
II. Il bene, il male, la società.
II. La vita, la morte, l’umanità.
Il quarto capitolo, purtroppo, è rimasto
segreto, perché Don Michele, come detto, non l’ha mai trascritto, e perché
inoltre si è sempre rifiutato di ricostruirlo a memoria.
Pochi anni fa, poco prima che morisse, gli
chiesi se ricordasse quale fosse il contenuto della famosa giornata perduta.
− Certo che sì! − fu la risposta.
Gli domandai allora perché non avesse
mai voluto rivelare quale fosse.
− Vedi, qualcuno di molto importante ha
deciso che era meglio non mandare in giro quella roba, e l’ha fatta sparire, e
allora chi sono io per dire che i capoccioni si stanno sbagliando?
− Ma la curia ha sempre negato di
aver...
− Avranno i loro motivi, se sono stati loro. Però io
ho sempre detto la verità: l’ho consegnato a un inviato del vescovo, anche se
poi ho dimenticato come si chiamava questa persona, o forse non me l’ha nemmeno
detto. Non ne ho le prove, ma sono convinto che il manoscritto ce l’hanno loro. E sempre da lì che mi è
arrivato il beneplacito di pubblicare i primi tre capitoli, ed era proprio
specificato di pubblicare quelli. Da parte mia, io la cosa l’ho interpretata
come un divieto di parlare del contenuto della quarta giornata.
− E tu concordi con questa decisione che
viene dall’alto?
− Che devo dire? Se dipendesse da me
probabilmente parlerei: direi quel che mi ricordo. Non mi piace questo lato della
Chiesa fatto di misteri, segreti e messaggi... Ma forse hanno ragione loro,
forse è davvero meglio così.
− Ma perché? È così diversa la quarta
giornata? È così importante?
− Beh, sì. Altrimenti sarebbe andata in
stampa tranquillamente anche quella.
− Ma che cos’ha di diverso?
− Non te lo posso dire.
− È contraria alla religione cattolica?
− Assolutamente no. Non parla affatto
del Cristianesimo. Serafino Pepe non mi ha mai parlato di Gesù, di Dio o della
Bibbia. Anche se per me è ovvio che l’ispirazione per le sue riflessioni gli è
venuta da Dio.
Sulla stampa si è scritto anche del
rapporto tra Don Michele e il pensiero di Serafino Pepe come oggi lo
conosciamo. La parte avuta dall’anziano prete nella realizzazione del testo, è
stata puramente passiva? Don Michele, cioè, ha davvero solo riportato
fedelmente le parole del moribondo? Oppure le ha integrate con suoi pensieri
originali?
Per sua stessa ammissione Don Michele
revisionò il testo, nella forma e nella scelta dei vocaboli, poiché ovviamente
Serafino Pepe parlava in dialetto e non usava di suo una terminologia tanto
articolata e precisa, oltre che politicamente corretta. Ma da qui a dire, come
ha fatto qualcuno, in modo davvero troppo semplicistico, che il Testamento sia stato interamente
prodotto dell’ingegno di Don Michele Fugardi ce ne passa.
Io Don Michele l’ho conosciuto, perché
nel 2008 fu trasferito nella mia parrocchia, e francamente non credo che possa
essere stato in grado di concepire un’opera articolata e compiuta come il Testamento. Che avesse una cultura
superiore a quella che si poteva attribuire a Serafino Pepe è fuor di dubbio,
ma in ogni caso le sue doti culturali e intellettuali non erano fuori dal
comune. Se devo credere a un fatto straordinario e miracoloso, e nel caso de il Testamento ciò è certamente necessario,
non faccio più fatica a credere che il miracolo si sia prodotto nella mente di
un vecchio contadino taciturno, che, evidentemente, per tutta la sua vita,
mentre taceva pensava, piuttosto che in quella di un vecchio prete impigrito. In ogni caso, le cose stanno così: Don Michele
mi regalò una copia dell’edizione originale del Testamento. Ebbene sì: io sono uno di quei pochissimi fortunati che
possono leggere il testo delle tre giornate nella versione originale e
integrale. Cosa che, lo ammetto, anche se ero molto affezionato a Don Michele ed
ero fiero del suo regalo, non avevo ancora
fatto fino a poche settimane fa. Così anch’io ci sono entrato, nello zoccolo
duro dei fan di Serafino Pepe, proprio come Don Michele avrebbe voluto, anche
se con qualche annetto di ritardo.
A questo punto forse vi aspettate di leggere qui una recensione del Testamento. Ma la realtà dei fatti è che io l’ho trovato un libro poetico e illuminante, ma anche inquietante. Secondo me è vero che si tratta di un testo fondamentale dal punto di vista della storia del pensiero filosofico, e devo ammettere di non sentirmi affatto in grado di recensirlo. Però farò di più: nelle prossime settimane, sempre in una cornice narrativa, pubblicherò alcuni stralci del testo integrale, sia dei brani più noti, che però chi ha già pubblicato su internet ha quasi sempre stravolto, chissà se volontariamente o no, che di altrettanti brani meno noti. Così potremo leggerli e commentarli insieme, e mi sentirò meno a disagio a parlarne.
A questo punto forse vi aspettate di leggere qui una recensione del Testamento. Ma la realtà dei fatti è che io l’ho trovato un libro poetico e illuminante, ma anche inquietante. Secondo me è vero che si tratta di un testo fondamentale dal punto di vista della storia del pensiero filosofico, e devo ammettere di non sentirmi affatto in grado di recensirlo. Però farò di più: nelle prossime settimane, sempre in una cornice narrativa, pubblicherò alcuni stralci del testo integrale, sia dei brani più noti, che però chi ha già pubblicato su internet ha quasi sempre stravolto, chissà se volontariamente o no, che di altrettanti brani meno noti. Così potremo leggerli e commentarli insieme, e mi sentirò meno a disagio a parlarne.
Trattandosi di un testo protetto da
copyright, anche se non più stampato da anni, non posso certo riprodurlo
integralmente, e spero che Adelphi non si risenta troppo per questa operazione
di recupero parziale. In fondo se il libro non è più in vendita non faccio un
torto a nessuno a pubblicarne qualche stralcio, cosa che oltretutto hanno già
fatto numerosi blogger, e in modo a dir poco trasandato. Resta inteso che nel
caso l’editore o altri soggetti eventualmente in possesso dei diritti di riproduzione
mi contattassero richiedendo la rimozione dei brani in questione, provvederei
immediatamente.
Arrivederci al prossimo episodio di questo progetto!
Arrivederci al prossimo episodio di questo progetto!
E'molto interessante e intrigante,BRAVO ...OK...
RispondiEliminaChissà chi è il "proprietario" dei diritti su questo libro? Possibile che possa trattare argomenti così scomodi per la chiesa al punto di volerlo quasi censurare?
RispondiEliminaInterrogativi a parte, complimenti per questa idea di recuperare e riproporre in versione narrata alcuni brani.
tanti auguri di una splendida Pasqua, prof, :D
RispondiEliminaGrazie! Anche a te!
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