Con la partecipazione della più celebre coppia di Hollywood in veste di mascotte.

venerdì 21 dicembre 2018

Ritorna il racconto di Natale: Un aiuto sotto le feste

Ogni tanto a Natale facciamo un salto nel negozio di giocattoli Supertoys, in quel grande centro commerciale, a vedere che succede; qualcosa da raccontare lo troviamo sempre. E' il mio modo di regalarvi un racconto natalizio... ma di un natalizio che puzza di plastica, un natalizio deteriore e commerciale. Se volete leggere o rileggere gli altri racconti della saga dedicata al negozio di giocattoli del signor Vitali, date un'occhiata ai racconti Playset e Caro Babbo Natale. Quanto al racconto di oggi, Un aiuto sotto le feste, in origine era stato preparato, un paio di natali fa, per partecipare a un concorso per racconti natalizi horror, bandito dal sito Vibrisse (concorso poi misteriosamente accantonato). Se vi pare un po' strano forse è anche perché sul regolamento del concorso vi erano precisi vincoli: il racconto doveva contenere certi elementi e certe situazioni... Ma quali erano? Boh! Non me lo ricordo più! Chi se ne importa? Buon divertimento!


UN AIUTO SOTTO LE FESTE
di Gianluca Gemelli


− Signor Vitali, questo è mio cognato.
Lucio alzò gli occhi al cielo per un istante, prima di stringere la mano al vecchio padrone del negozio. Si sentiva un po’ a disagio quando Andrea lo chiamava cognato. Sua sorella mica se l’era sposato, ancora, no? Fa niente. Sorrise al suo nuovo datore di lavoro.
− Hm, − fece quello. − Ti chiami?
− Lucio.
− Andrea ti ha detto che è solo fino al sette gennaio?
− Sì.
− E ti ha detto anche quanto ti pago?
− Sì.
− Bene. − Vitali gli voltò le spalle, ma mentre rientrava nel suo ufficio continuò a parlare: − Sono tempi duri.
− Gli hai fatto una buona impressione, − lo rassicurò Andrea.
− Tu dici?
− Certo! Datti da fare e vedrai che ti richiama ogni volta che gli serve un aiuto. Ora andiamo!
I due si avviarono per un lungo corridoio spoglio, e si fermarono davanti a una coppia di porte di metallo che si aprivano una di fronte all’altra. Andrea girò faticosamente la maniglia arrugginita di una delle due.
− Questo è lo sgabuzzino, − disse sbuffando. − Fa anche da spogliatoio.
− Da spogliatoio? − fece Lucio con una punta di disgusto. A più di un anno dal diploma, quella parola gli suscitava ancora un mix di ricordi e sensazioni sgradevoli: umidità, panche di ferro arrugginite, una palestra scolastica gelida e fatiscente, sporcizia, sudore, bulli che fanno a gara a chi ce l’ha più grosso...
− Beh, devi metterti anche tu una di queste, se vuoi lavorare qui, − gli spiegò Andrea puntando il dito sulla scritta Supertoys stampata a grosse lettere gialle sulla maglia blu che indossava. − Su quello scaffale lassù dovremmo trovarne una della tua misura. Certo che sei proprio magro...
Lucio alzò di nuovo gli occhi al cielo. Lui magro? Scherziamo? Semmai era Andrea che era grasso come un porco.
− Ecco qui. Questa dovrebbe andar bene, mettitela.
− E il cappotto e la camicia, dove li lascio?
− Appendili qui. Andiamo, ora.
Andrea tirò fuori un mazzo di chiavi e si accanì sulla serratura dell’altra porta, quella di fronte allo sgabuzzino.
− Questo invece è il magazzino. Le chiavi le ho io, se ti ci mandano chiedile a me.
− E di lì dove si va? − chiese Lucio indicando il corridoio, che proseguiva oltre, nel buio.
− Da nessuna parte. Il corridoio finisce poco più avanti, ma non c’è neanche la luce.
Strano, pensò Lucio per un attimo. Un corridoio così non può non finire da nessuna parte.
− Vieni, guarda qui.
La porta del magazzino cigolò e si aprì su uno stanzone senza finestre e  pieno di scatoloni fino al soffitto.
− Wow! E io e te dobbiamo sistemare tutta ‘sta roba in negozio entro le nove?
− No, no. Beh, una parte sì. Quelli lì sopra e anche quegli altri, credo. Peluche e costruzioni. Poi vediamo. Però prima dobbiamo dare una ripulita. Dobbiamo sgombrare i tavolini bassi che stanno nella fila destra del negozio, e sistemarli in mezzo in modo che formino un unico tavolo. Vitali vuole così. Prendi quello. Sì, il bidone con le ruote. Andiamo!
Giorgio e Laura, gli altri due commessi del negozio di giocattoli, che Lucio aveva conosciuto poco prima, erano già al lavoro nella vetrina, a sistemare due manichini con le sembianze di personaggi di Starwars. La donna delle pulizie stava spingendo il suo carrello con il secchio d’acqua, gli stracci e gli spazzoloni. Come li vide arrivare li apostrofò:
− Ehi, lì per terra è ancora bagnato!
− Vabbè, − rispose Andrea, − è quasi asciutto, ormai. E poi noi dobbiamo lavorare!
− Già! E invece io sto qui a giocare, vero?
− Dai, dai! Vai di là a pulire. Qui va bene così. Anzi, aspetta, dacci lo spolverino, poi te lo ridiamo. Forza, Lucio, diamoci da fare.
− Che dobbiamo fare?
− Primo: svuotiamo tutti questi tavolini. Leviamo tutti i giocattoli e mettiamoli lì per terra. Non tutti andranno rimessi in vendita, qualcuno sarà troppo vecchio, e lo mettiamo nel bidone. A Natale i bambini sono esigenti: vogliono solo le cose ultimo modello, ne abbiamo un magazzino pieno. I tavolini li uniamo insieme e formiamo un tavolone unico. Ci facciamo sopra una bella piramide con le scatole di costruzioni...
− E i peluche, come ce li mettiamo?
− Ah, già. Boh. Poi vediamo. Intanto ripuliamo tutto.
I ripiani superiori degli espositori di legno laccato che Andrea chiamava “tavolini” erano pieni di giocattoli alla rinfusa che necessitavano certamente di essere rimessi in ordine. Per tutti o quasi ci voleva una semplice spolverata. Ma erano nelle file interne del ripiano più basso che a quanto pare si erano accumulati da tempo i giocattoli che nessun bambino aveva voluto o notato. Molti avevano ormai la scatola troppo rovinata o scolorita, e dovettero essere eliminati. Molti erano davvero troppo vecchi.
− Queste sono le Brax, le Braz, boh... Roba troppo vecchia ormai, mettile nel bidone con il resto. Le venderemo su internet.
− E questi?
− Metti via pure quelli, poi vediamo. Dai, dammi una mano a spingere, che questo pesa...
− E questa qui? − chiese Lucio, indicando una poltroncina di plastica viola, che era spuntata fuori non si sa da dove, separando due degli espositori.
− Ah! Guarda un po’ dov’era finita... No, questa non è un giocattolo, serviva ai bambini e alle mamme per sedersi a vedere i cartoni. C’era anche una TV, lì.
− Ah, è quel che ci vuole! − rise Lucio, abbandonandosi sulla poltroncina. Ma appena seduto si accorse di aver fatto una cazzata: sentì la plastica piegarsi, e prima che riuscisse a rialzarsi, la poltroncina si aprì a metà con uno schianto e lui si ritrovò seduto sul pavimento.
− Oh, porca... Sei sicuro che qui ci si sedevano le mamme?
− Beh, no, eh, eh, eh... Forse per loro ce n’era una più grande.
− Mi dispiace, ho combinato un casino...
− Ma no, invece hai risolto il problema: non sapevo che farci con quella. Ce l’eravamo dimenticata lì sotto. Adesso invece è tutto chiaro: si butta.
− E questa? − chiese Lucio raccogliendo una scatola di cartone con la finestra di plastica trasparente un po’ ammaccata, e con dentro una bambola diversa dalle altre. Raffigurava una bella bambina imbronciata, con lunghi capelli scuri e con indosso un cappottino verde.
− Oh cazzo... − fece Andrea. Si sedette sul tavolino accanto.
− Beh? Cosa c’è?
− Non pensavo che ce ne fossero ancora, di queste! Ma tu guarda dove si era andata a ficcare...
− Doveva essere rimasta incastrata sotto la poltroncina.
− Già. È un bel problema. Dammela. Dobbiamo farla sparire.
− La mettiamo con l’altra roba vecchia?
− No, no: questa dobbiamo proprio farla sparire del tutto, è...
− Allora? Dove sono quei due?
Preannunciato dal suo vocione, il signor Vitali si avvicinò a grandi passi. Andrea sussultò e si nascose in fretta la scatola con la bambola dietro la schiena. Sembrava lo spaventasse l’idea che il padrone del negozio potesse vederla. Lucio non capiva perché.
− Ah, siete qui? Ancora a questo punto state? Lucio, datti da fare in fretta, che Andrea mi serve in magazzino adesso. Tanto hai capito cosa devi fare, no? Forza, che il centro commerciale apre tra un’ora e mezza!
Andrea si alzò in fretta per seguire Vitali e, nel farlo, lanciò di nascosto la bambola a Lucio, che improvvisamente se la ritrovò in grembo. Rimasto solo, si rivolse alla bambola:
− E adesso? Che ci devo fare con te? Dove ti devo mettere? Secondo Andrea devo farti sparire, chissà perché... Ma dove? Vabbè, per adesso stai qua dentro al bidone pure tu e fai la brava, eh?
Quando Andrea tornò da lui con un carrello pieno di scatole e confezioni colorate e luccicanti, Lucio aveva già unito tutti gli scaffali a formare il famoso tavolone.
− Perfetto, − gli disse ad alta voce. − Proprio così andava fatto. Adesso ci mettiamo sopra la piramide delle scatole di costruzioni.
Poi gli si avvicinò e gli disse sottovoce:
− E la bambola? Quella che abbiamo trovato prima? Dove l’hai messa?
− Nel bidone col resto della roba, − rispose Lucio, sempre sottovoce.
− No, no, no! Quella non va col resto! Stammi a sentire: porta il bidone così com’è in magazzino. Ma la bambola toglila di lì, nascondila nello spogliatoio, sotto il tuo cappotto!
Lucio avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma quello ricominciò a parlargli a voce alta, perché tutti lo sentissero:
− Lucio, queste sono le chiavi del magazzino. Prendile e porta lì il bidone coi giocattoli vecchi!
E poi, di nuovo sottovoce:
− Hai capito che devi fare? È importante! Forza, sbrigati!
Lucio si mise in moto, a rilento. Ma siamo matti? Andrea era scemo o cosa? Doveva proprio spiegargliela, questa storia!  
Fermò il bidone nel corridoio, tolse la scatola con la strana bambola e la mise nella tasca interna del cappotto, appeso nello sgabuzzino, sopra alla camicia. Poi uscì di lì e infilò le chiavi nella serratura del magazzino. A quel punto sentì un rumore inaspettato, che sembrava provenire dalla zona buia in fondo al corridoio. Rimase immobile: aveva sentito distintamente qualcuno piangere, forse un bambino o una bambina... Ma ora non sentiva più niente. Aprì il magazzino e quando si girò per prendere il bidone, sussultò nel trovarsi di fronte la mole inaspettata del vecchio padrone del negozio.
− Hai sentito?
− Co... Cosa, signor Vitali?
− Tu non hai sentito niente?
− Io? Niente.
− Hm.
Il signor Vitali annuì tristemente, gli volse la schiena e tornò sui suoi passi, lentamente. Gli era sembrato ancora più vecchio di quando lo aveva incontrato per la prima volta. Enormemente vecchio.
Il lavoro proseguì fino all’ora di apertura del negozio. Giorgio e Laura parteciparono alla realizzazione della famosa piramide di costruzioni, e anche al monte dei peluche, e sotto gli occhi del signor Vitali. Lucio non trovò il tempo di parlare liberamente con Andrea. Poi tutti si ritrovarono sommersi da bambine e bambini con l’indice puntato, ragazzini che studiano le confezioni fingendo indifferenza, mamme e papà con liste scribacchiate a mano, nonne impellicciate, nonni perplessi... e cagnolini col cappottino.
− Mi spiace, signora, − ma lui deve restare fuori.
− Ma come, il mio Batuffolino? Non avrà paura che morda qualcuno, vero?
− No, ma qui dentro possono pestarlo. E poi è la regola.
Lucio lavorava con il pubblico, faceva la spola con il magazzino, portava con un sorriso il materiale per fare i pacchetti alle due ragazzine del progetto di alternanza-scuola-lavoro ogni volta che lo finivano... E gli sembrava che lo finissero un po’ troppo spesso... E quando gli capitava di incrociare Andrea, provava a fermarlo:
− Mi vuoi spiegare quella...
− Andrea alla cassa!
C’era sempre qualcosa che gli impediva di togliersi la curiosità.
Finalmente, all’ora di pranzo, ebbe il permesso di uscire e andare con Andrea a farsi un hamburger da McDonald’s, giusto al piano di sotto.
− Ma fate in fretta, che poi tocca a Laura e Giorgio!
Quando furono fuori, Andrea sbuffò e disse:
− Questo lavoro è davvero faticoso. E ne abbiamo ancora fino a stasera!
− Sì, è vero, è massacrante. Ma adesso spiegami!
− Che cosa?
− La faccenda della bambola!
− Ah, già. L’hai nascosta, come ti ho detto?
− Sì, ma...
− Qualunque cosa succeda, Vitali non deve vederla.
− Ma perché?
− Quelle vecchie bambole dovevano già essere state distrutte, tutte. Ma due anni fa ne spuntò fuori una, non si sa come, e il vecchio diede di matto.
− Davvero?
− Sì, sì. Guarda qui: adesso da Mac non si ordina più, hanno questi cosi dove si sceglie il menù e poi vai lì col numeretto e loro te lo danno.
− Lo so, lo so. Ma...
− Menù doppio cheese, più un filet, che mica mi basta un panino solo. Tu che prendi?
− Lo stesso, ma senza il filet. Ma perché? Cos’hanno che non va?
− Che cosa?
− Le bambole!
− Ah. Le aveva fatte fare lui, anni e anni fa. Erano il ritratto della sua nipotina. Gli altri nonni a Natale regalano una bambola alle loro nipotine, no? Lui pure, nel senso che mise in vendita una bambola tale e quale a lei. Era questo il suo regalo.
− Però! Strana come idea, ma fica, però! E perché, poi...
− Quel Natale la bambina morì.
− Oh!
− Vitali allora tolse di mezzo tutte quelle bambole, e da allora non le può vedere. Non devono neanche esistere. Cazzo, se tu l’avessi visto l’anno scorso! Era completamente pazzo. Roba da far paura veramente. Per questo devi portartela via tu, di nascosto, e poi distruggerla.
− Distruggerla?
− Beh, sì... Non lo so, è come se lui pensasse che c’è una specie di maledizione. Lui le altre le ha fatte distruggere. Quella che ha trovato l’anno scorso credo che l’abbia bruciata... Certo lui è pazzo, poveraccio: crede che quelle bambole impediscano alla bambina di andarsene nell’aldilà... Quindi sarebbe meglio distruggerla, sì, bruciarla. Magari però va bene anche se la butti lontano da qui, in modo che nessuno la trovi.
− Ma perché lo devo fare io?
− Lo farei io, ma io non stacco mica alle sette e mezza, come voi. Io e Vitali chiudiamo il negozio. E quella bambola prima sparisce meglio è, credimi.
− A me, me parete matti tutti quanti, non solo Vitali.
Alla chiusura del negozio − ed erano almeno le otto e un quarto, non le sette e mezza − Lucio salutò tutti. Era distrutto. Il pensiero che il giorno dopo sarebbe stato ancora lì a faticare, anche se stavolta almeno non doveva venire così presto, non era molto confortante. E mancavano ancora due giorni alla vigilia di Natale... Andrea gli strizzò l’occhio.
Rimasto solo nello spogliatoio tastò il cappotto e sentì che la bambola era ancora al suo posto. Poi uscì, e si bloccò.
Di nuovo nel corridoio aveva sentito distintamente qualcosa. Un bambino, anzi una bambina che piagnucola. Il cuore a mille, guardò verso il buio e si mise in ascolto. Poteva averlo sognato? Per due volte? E la prima volta Vitali era in ufficio e aveva sentito anche lui. Cosa... Cosa diavolo...
− Oh, basta!
Voltò le spalle al buio e si avviò verso l’uscita.  
No, non sarebbe andato in cerca di fantasmi piangenti. Non avrebbe tastato il muro del corridoio cieco, al buio, alla ricerca di stanze murate alla fine del corridoio... Che razza di pensieri gli passavano per la testa? Roba da film horror! Chi glielo fa fare, a uno... No, ci mancherebbe altro. Meglio lasciar perdere.
La bimba che piange era certo di non averla sognata. Ma sai comè? Può darsi benissimo che rumori e voci si diffondano da un piano all’altro, da un ambiente all’altro in modo che uno non si aspetta, no? Non c’era forse un punto preciso di camera sua da dove riusciva a sentire perfettamente le telefonate della vecchia del piano di sopra, come se fosse proprio lì con lui? Sì, e bastava spostarsi di un metro che non si sentiva più niente. Misteri dell’edilizia popolare. Magari anche in questo caso era così. Certo. O magari c’era un’altra spiegazione. Certo che c’era. Fantasmi e quelle robe lì, non esistono, non devono esistere. Lo dice sempre anche la nonna...
E anche se esistono, chi se ne frega!  
Però la bambola l’avrebbe bruciata, questo sì. Nel caminetto della casa di nonna, sì. Lei vive in campagna, dinverno il camino lo tiene quasi sempre acceso, e ci butta dentro qualsiasi cosa.  
E poi, tanto nonna è sorda, o quasi, quindi le bambine che piangono magari lei manco le sente.

1 commento:

  1. Bambina che piange,fantasmi piangenti e altre cose che si ripetono ogni anno .La raccolta dei giocattoli ci dice che a NATALE i bambini sono esigenti e anche i genitori ...OK...

    RispondiElimina